Guillermo del Toro era destinato a fare questo film. Come ha detto più volte, fin da quando ha visto per la prima volta, a 7 anni, il film Frankenstein di James Whale, la creatura interpretata da Boris Karloff è diventata il suo "Gesù personale". Qualche tempo dopo, a 11 anni, ha poi letto il romanzo di Mary Shelley e la connessione con questa storia è diventata totale e molto personale: quel ragazzino messicano del Novecento e quella ragazza inglese dell'Ottocento, che avrebbe dato il via a un nuovo genere, la fantascienza, erano in comunicazione diretta.
Il percorso che ha portato Del Toro al film Frankenstein, arrivato su Netflix, dopo il concorso a Venezia 82 e un breve passaggio in sala, è quindi durato una vita intera. Si tratta di un vero e proprio regalo che la piattaforma di streaming ha fatto sia a noi spettatori che al regista. E non è il primo: questo nuovo adattamento di Frankenstein esiste infatti grazie al successo di Pinocchio, premiato con l'Oscar e il Golden Globe 2023 al miglior film d'animazione, altra storia molto cara a del Toro.
Come protagonisti ha scelto Oscar Isaac e Jacob Elordi, rispettivamente nei ruoli dello scienziato Victor Frankenstein e della creatura. Nella nostra intervista il trio ci ha assicurato una cosa: questa è una versione diversa da tutte quelle che abbiamo visto fino a ora. Per un punto in particolare: finalmente è il mostro a raccontare la sua storia.
Frankenstein: intervista a Guillermo del Toro, Oscar Isaac e Jacob Elordi
Una delle scelte più belle di questo Frankenstein è quella di raccontare la storia che conosciamo tutti da due punti di vista, quello di Victor e quello della creatura.
Per del Toro era fondamentale: "Questa è stata la parte più impegnativa e più importante, in molti modi, della nostra versione. C'è una costruzione enorme, che viene fatta in modo diverso rispetto a prima. Nel tono è così veemente. All'inizio abbiamo Victor che dice: questa è la mia storia e ho ragione. E poi la cosa molto stimolante è l'arrivo di un'altra voce, che entra e dice: no, no, c'è un altro lato di questa storia. È molto emozionante. E molto necessario. Non era mai stato fatto in questo modo in qualsiasi altro adattamento del romanzo. E penso che sia urgente in questo momento: serve a capire che insieme alla tua verità c'è un'altra verità che non stai ascoltando".
La ribellione e la rabbia di Victor e del mostro
Per Victor e il mostro la ribellione e la rabbia sono come benzina. Questo è un tema molto caro al regista: "Per me disobbedire è importante. È la stessa cosa che caratterizza il mio Pinocchio. La ribellione è un atto di pensiero, è una scelta. È ciò che ti rende umano". D'accordo Isaac: "Sì è come il fuoco. Perché può creare la vita ma, allo stesso tempo, può diventare una dipendenza. È qualcosa che anche i tossicodipendenti fanno molto: sfidare, sentirsi costantemente come se avessero bisogno di dimostrare qualcosa. È l'altra faccia della medaglia ed è un punto di vista interessante, che ritroviamo costantemente lungo tutto il film. Penso sia uno spunto molto intelligente".
Elordi invece, come il suo personaggio, crede negli aspetti positivi della rabbia: "Credo pienamente nel valore della rabbia. Penso che sia passione e verità". Del Toro concorda: "Credo che nessuna emozione sia inutile, tranne forse il senso di colpa. Penso che la rabbia sia strutturale: se non ti arrabbi contro le cose che sono sbagliate, allora qual è la tua vita? Penso sia una cosa che fa parte di noi". Per Isaac invece: "Victor e la creatura possono essere incredibilmente pieni di rabbia. Può essere un segnale. Un segnale per capire qualcosa".
La voce del mostro e il gesto di Elordi
Per raccontare la sua storia la creatura deve però prima trovare la propria voce. Non è una cosa facile. Anche per Elordi è stato (ed è) impegnativo: "Mi sento come se, personalmente, stessi ancora cercando la mia. Penso che tutti, da bambini, vogliano raccontare la propria storia, crescere e dire: ok, tu la vedi così, ma io invece la vedo così. Io l'ho vissuta in questo modo. Quindi credo stia tutto nel conoscere se stessi e guardarsi dentro, pensare ed essere un membro attivo della razza umana. È così che si fa. Suppongo. Ma non ci sono ancora arrivato nemmeno io. Non sono sicuro di cantare davvero la mia canzone".
Un'idea molto toccante del Frankenstein di del Toro è il gesto con cui il mostro esprime tutto il suo desiderio di contatto umano: si tocca la testa con la mano. Un'idea che viene proprio dal regista, come ci ha detto Elordi: "Viene direttamente da Guillermo. La prima volta che ci siamo incontrati mi ha preso la mano e se l'è messa in testa. E da quel momento quello è stato il nostro modo di comunicare, tra Adam e il creatore e tra noi. Da quel momento quel gesto diceva tutto". Del Toro conferma: "La creatura impara tre parole: Victor, Elizabeth e amico. Sono le sue prime tre parole. Quindi questo gesto è molto toccante, perché per lui significa amico".
Essere mostri insieme
Il più grande desiderio della creatura è non essere solo. Ecco perché, quando capisce che non potrà mai far parte degli esseri umani per via del suo aspetto mostruoso, chiede a Victor di creargli una compagna, così da "poter essere mostri insieme". Ecco: è questo il segreto della felicità? Poter essere mostri insieme? Il regista è andato oltre: "Questo è uno. L'altro è sapere che sei solo, sei nato solo e morirai solo. E va bene così. Certo, è una consapevolezza più difficile da apprezzare. Il finale dice più o meno questo: sono solo, e va bene che io sia solo e vivo. Le cose si uniscono".