Una conferenza stampa piuttosto breve ma ricca di spunti interessanti, quella seguita alla proiezione di Forever Blues, esordio alla regia di Franco Nero. L'attore, presente insieme a Minnie Minoprio e al giovanissimo Daniel Piamonti, ha spiegato la genesi del film e le motivazioni che lo hanno portato per la prima volta, a 64 anni, dietro la macchina da presa.
Cosa c'è di vissuto, di suo, in questo film?
Molto. Tutti i membri del cast sono persone che, in un modo o nell'altro, mi hanno accompagnato nella mia vita. Uno di questi è Lino Patruno, un musicista che seguo da anni e che vado a sentire ad ogni concerto, o Clive Ritchie, il suonatore di armonica: come il suo personaggio, anche lui, dopo aver avuto un passato prima da avvocato e poi da hooligan, ha "visto la luce" ed è venuto in Italia per suonare l'armonica. Inoltre, nel film ho voluto mettere a fuoco una situazione difficile, che esiste purtroppo in molte famiglie italiane: non è un caso che il film esca a ridosso del 19 marzo, che è la festa del papà.
Minnie Minoprio: Per me questo film è stata un'esperienza molto particolare: io ho sempre lavorato in televisione, e l'unica volta che mi è capitato di essere chiamata per il cinema, per un film intitolato Los Amigos, era prevista una scena di stupro che non potevo assolutamente permettermi di girare. Così la mia carriera cinematografica finì prima ancora di cominciare. Molti anni dopo, questa nuova opportunità mi ha permesso di interpretare una persona molto diversa da me, che sono fondamentalmente solare: è stata un'esperienza molto interessante, per un ruolo diverso dal solito.
Come ha scelto il bambino protagonista?
Ho fatto diversi provini, ma non trovavo mai il ragazzino adatto per il ruolo. Poi, per un puro caso, un'amica che vive all'Aquila mi ha parlato del figlio di una sua amica americana, e ha suggerito che potesse fare al caso mio: appena ho visto Daniel, ho capito subito che era lui quello giusto, e poi aveva un'incredibile sicurezza, sembrava già un attore consumato.
Il film è stato già presentato all'estero? Quali sono state le reazioni?
Ho fatto una prima presentazione a New York, in cui le reazioni sono state entusiastiche: alla fine c'era gente con le lacrime agli occhi, il film aveva davvero colpito nel segno. Lo stesso riscontro l'ho avuto successivamente a Washington, e poi a Los Angeles, dove mi hanno anche fatto i complimenti.
Cosa può dirci del lavoro come regista?
E' durissimo. In un certo senso è come essere il capofamiglia, quello che ha la responsabilità di tutto: in fondo il cinema è questo, una grande famiglia, e il regista è quello che deve guidarla. Oppure, se vogliamo usare un'altra similitudine, possiamo paragonare il cinema a una grande città, di cui il regista è il sindaco: è lui quello che deve dare sempre il buon esempio.