Alla conferenza stampa che ha fatto immediato seguito alla proiezione romana di Fate come noi erano presenti il regista Francesco Apolloni e buona parte del cast (Meconi, Venditti, Nano, Tognazzi).
Tra gli argomenti di maggior interesse per i cronisti, l'inconsueto ritardo con cui il film, girato tra il 2000 e il 2001, è arrivato nelle nostre sale.
"E' un miracolo quello cui stiamo assistendo" dice Ricky Tognazzi, che appare nella pellicola in un gustoso cameo. "Sono lieto di essere parte di un simile fenomeno. Perché questo non è un film indipendente, non è nemmeno un film autartico, è un fenomeno della natura. E' come assistere all'alta marea. Perché vola un aereo? Perché sbocciano i fiori nel deserto? Perché un film come questo dopo tre anni riemerge dall'oblio? Perché si monta la maionese?"
Apolloni, raccontaci la genesi del film.
Apolloni: Beh, l'idea è nata da due racconti che avevo scritto. I due episodi mi permettevano di autoprodurmi: la mamma mi aveva fatto un'assicurazione sulla vita, e io l'ho incassata subito. Ho conosciuto, a una festa, Paolo Rocchetti e gli ho chiesto cosa voleva fare da grande. Lui mi ha risposto "il produttore" e poco dopo eravamo a casa mia a organizzare le riprese del primo episodio del film. Eravamo nel 2000.
Così abbiamo prodotto il primo episodio; avevamo bisogno però di qualcuno con cui coprodurre il secondo. Alla fine abbiamo trovato un produttore teatrale, Massimo Chiesa, e con la sua produzione abbiamo girato il secondo episodio nel 2001.
Poi abbiamo iniziato a cercare un distributore, un papà per questo bambino, e lì abbiamo incontrato grosse difficoltà: non c'era mercato per un film del genere.
Finalmente, grazie a Istituto Luce e al Warner Village siamo riusciti a dargli una paternità.
E' vero che hai fatto un appello in radio? Apolloni: Sì, sono andato da Fiorello! Avevo capito che l'unico modo per dare una possibilità al film era quella di proiettarlo ad un pubblico vero, non a una platea di produttori o giornalisti. Così l'anno scorso ho organizzato una proiezione a Tor Bella Monaca, che è dove avevo girato, per 500 ragazzi della zona. Poi andai alla trasmissione di Fiorello - che è stato incredibilmente generoso con me - dove facemmo questo appello ai distributori, chiedendo che ci chiamassero. Ci chiamò proprio Solea, che venne alla proiezione: il film piacque, e vide la luce.
Come hai trovato gli attori? Apolloni: Beh, con Francesco Venditti avevo già lavorato in teatro; Mauro Meconi, invece, l'ho scelto dopo sette o otto provini. Per quanto riguarda Agnese Nano - non era facile trovare un'attrice sui 35 anni che fosse abbastanza generosa da lavore ad un progetto come questo, con rischi altissimi, senza roulotte per il trucco...
Nano: Senza trucco!
Apolloni: Quella era una scelta, non era per risparmiare!
Però eravamo solo noi, con la nostra macchina da presa, che ci aggiravamo per Roma. Ad esempio, la scena di Piazza Navona è stata girata con migliaia di comparse involontarie!
E la bambina? Apolloni: Le bambine sono tre. Arianne, la bambina che mi ha ispirato quella storia. E altre due, che ho dovuto ingaggiare perché dopo una settimana la madre di Arianne me l'ha tolta.
Tu parli con estrema poesia di solitudine, ma anche di solidarietà. Quanto c'è di autobiografico?
Apolloni: C'è che io credo nella solidarietà. Del resto se io oggi sono qui a parlare di questo film è perché molte persone mi hanno aiutato. Io penso che nonostante si viva in mondi completamente diversi, può sempre esistere uno scambio affettivo. Tra centro e periferia, come nel film, ma anche tra diverse generazioni.
Io sono rimasto impressionato ieri - alla proiezione che abbiamo fatto a Frosinone - da come questi 700 ragazzi delle scuole superiori abbiano amato Pupella Maggio.
I dialoghi tra Bove e Pechino sono davvero efficaci - quanto è sceneggiatura e quanto improvvisazione? Venditti: Beh, io credo che siano il frutto della conoscenza tra noi tre e della conseguente amalgama che si è creata pian piano nelle prove: c'è stato un grande lavoro - rendiamone atto a Francesco - su questi due personaggi, una norma iniziale data dal regista, da cui poi noi abbiamo spaziato come ci sentivamo di fare. C'erano cose di cui magari volevamo parlare noi due, e Francesco ci si riconosceva.
Meconi: Praticamente noi parlavano dei fatti nostri, Francesco c'inseguiva e prendeva appunti!
E com'è andato l'incontro con Pupella Maggio?
Apolloni: L'ho incontrata, le ho raccontato il progetto. Erano dieci anni che non lavorava più ed era già novantenne, ma ha detto "Lo faccio". Ha voluto che il suo personaggio si chiamasse Giustina, che era il suo vero nome.
Pupella era straordinaria, poetica e, allo stesso tempo, trasgressiva.