Un viaggio lungo una notte. Spazio limitato, il tempo che corre, e il retaggio di una personalità sovversiva, pronta a scrollarsi di dosso un peso enorme. Gabriele Muccino punta all'adrenalina e alla tensione con il suo nuovo film, Fino alla fine, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e in sala, poi, dal 31 ottobre.
Al centro del film, la storia di Sophie (Elena Kampouris). Ragazza americana di vent'anni arrivata a Palermo con la sorella. Per caso o per destino incontra Giulio (Saul Nanni), e un gruppo di focosi ragazzi siciliani (interpretati da Lorenzo Richelmy, Enrico Inserra, Francesco Garilli). Sophie in qualche modo ne resta attratta, lei che ha vissuto per anni in solitudine. Molla la tediosa sorella e si lancia in braccio a Giulio e ai suoi amici, con il quale condividerà una vertiginosa e pericolosa avventura.
Fino alla fine: intervista a Gabriele Muccino
Più di ogni altra cosa, Fino alla fine è, per certi versi, una sorta di elogio alla libertà e alla libertà di poter finalmente sbagliare. O almeno così ci dice Gabriele Muccino nella nostra video intervista: "Scegliere significa trovare la libertà, ma dopo la libertà c'è anche il caos. Quindi il film racconta un po' questi tre elementi. Questa ragazza americana, implosa, irrisolta, incompiuta, trov un altro ragazzo a sua volta in compiuto perché orfano e irrisolto. A qualunque età ci si può trovare in quella situazione di stallo in cui non sappiamo bene se quello che abbiamo fatto è stato giusto, ma è troppo tardi per tornare indietro. Quindi c'è una situazione irreversibile e insanabile".
E prosegue, poi, sul concetto di scelta, su cui ruota la sceneggiatura scritta da Muccino insieme a Paolo Costella. "Il futuro ci può aprire ancora la possibilità di fare delle scelte che possono anche essere pericolose. Ma l'ignoto è sempre più attraente della safe zone, nella quale forse ci siamo rimasti troppo a lungo. Per cui la protagonista, Sophie, si butta nelle zone più oscure, più ignote, perché ha bisogno di vivere, affrontando e vivendo fino in fondo con il suo corpo e la sua inesperienza".
Dentro l'azione: una protagonista metaforica
In qualche modo, Fino alla fine potrebbe essere una risposta all'epoca respingente e restringente che stiamo vivendo. Una propensione verso l'esterno, un allontanamento dalla zona di comfort. "In questo momento tutto è globalizzato, tutto è centralizzato, tutto è filtrato e addirittura le relazioni umane sono limitate ad una doppia spunta", prosegue Muccino. "Il punto di contatto tra persone si è assottigliato. Chi è adulto come noi conosce le due condizioni di vita, chi è più giovane ne conosce solamente una. Quindi il fatto che manchi un elemento che nell'umanità c'è sempre stato antropologicamente non è mai stato metabolizzata questa condizione nella quale stiamo vivendo oggi. La necessità di un contatto fisico, di un rapporto fisico, di entrare fisicamente nell'azione della tua vita, di essere parte, protagonista della tua vita, è forte in ognuno di noi".
Dunque, il personaggio di Sophie ha una valenza metaforica: "Sophie ha la possibilità di entrare in questo buco nero, letteralmente, perché vuole vivere quell'esperienza e lo farà fino in fondo prendendo addirittura la leadership della nottata, diventando la donna empowered di un gruppo di ragazzi che sono costretti a seguirla per la loro impreparazione. Non che lei sia più preparata, ma è pronta a morire, in qualche modo. È pronta ad auto-distruggersi pur di vivere quell'esperienza fino in fondo. Come se non avesse nulla da perdere".