Si chiude con un indisciplinato gregge di pecore assassine assetate di vendetta il concorso del Future Film Festival di Bologna, manifestazione dedicata al cinema d'animazione e degli effetti speciali che ha saputo offrire, in questa sua decima edizione, pellicole divertenti, a tratti addirittura entusiasmanti, ma che troppo spesso hanno rivelato una grave mancanza di originalità. Un film che ha provato a dire qualcosa di nuovo nel genere entro il quale andava a inscriversi è stato il neozelandese Black sheep, ultimo titolo ad essere presentato in concorso, un horror sui generis che oppone terribili pecore mutanti a un bislacco gruppo di esseri umani, composto da ricercatori spietati, ragazzetti ovinofobici e imbranati ambientalisti. Il film, scritto e diretto da Jonathan King, recupera il gusto splatter del primo Peter Jackson e propone un misto tra horror e commedia nello stile de L'alba dei morti viventi. Black sheep si lascia apprezzare nella prima mezz'ora per come riesce a dosare umorismo, tensione e lampi gore, servendosi con giudizio delle meraviglie degli effetti speciali targati Weta, ma le idee si esauriscono presto, i tempi morti sono più feroci degli ovini killer e il fiacco happy ending pesa inevitabilmente sul giudizio finale del film, lontano da una possibile etichetta di cult come paventato in giro.
A completamento della sezione concorso sono stati proiettati nel quarto giorno di festival il giapponese Ge ge ge no Kitaro e il francese La reine du soleil. Il primo è un godibile fantasy tratto dall'omonimo manga di Mizuki Shigeru, pubblicato nel 1959, che racconta l'ennesima storia di spiriti che si intrufolano nel mondo umano, come nella tradizione della mitologia giapponese, per far sì che un bambino incontri i suoi sogni e possa essere così aiutato in un'impresa disperata. Effetti speciali di pregevole realizzazione e un'accattivante attitudine slapstick della componente di commedia del film non bastano a mascherare gli evidenti limiti di uno script che fallisce nell'amalgamare al meglio follie e colori della magica storia che racconta. La reine du soleil è invece una coproduzione Francia-Belgio-Ungheria che ci immerge nell'antico Egitto per raccontare con colori caldi e un aura di sacralità l'odissea della giovane principessa Akhesa in viaggio nel deserto alla ricerca di sua madre Nefertiti, prima di essere incoronata regina e salvare il suo popolo dall'ansia di potere di perfidi sacerdoti. Un film dall'animazione classica, certamente gradevole ma poco incisiva, che si affida ad una narrazione anonima rivolta in primis ad un pubblico giovane, mancando di appeal per gli spettatori più adulti.
Nella quinta ed ultima giornata della kermesse bolognese sono stati invece proiettati due film, fuori concorso, molto attesi dal pubblico. The water horse - La leggenda degli abissi, in uscita nelle nostre sale il 14 marzo prossimo, rispolvera la leggenda del mostro di Loch Ness con effetti digitali all'avanguardia che vanno ad incastrarsi in una storia che non riesce a solleticare la nostra fantasia, vittima di una struttura narrativa così ordinaria da far scivolare il film verso un prevedibile finale, senza che lo spettatore sia mai chiamato ad aggiungere nulla di sé a quanto avviene sullo schermo. Altro film fuori concorso a passare sugli schermi del Future Film Festival è stato Piccolo grande eroe, americanissima celebrazione dell'eroismo più semplice, quello dei bambini che affrontano con coraggio le sfide della vita. Un protagonista chiamato Yankee, uno sport (il baseball) che non ha saputo mai conquistare chi è da questa parte dell'oceano, un viaggio, con a seguito una palla e una mazza parlanti, per le città degli Stati Uniti alla conquista di una meta impossibile: un cinema fieramente stelle e strisce applicato all'animazione cgi, fatto su misura di bambino, che è lontanissimo dalle meraviglie Pixar e Dreamworks, e che scontentando tutti è destinato a passare giustamente inosservato.
Con l'assegnazione del Lancia Platinum Grand Prize al giapponese Byousoku 5 Centimeters e la menzione speciale a Tekkonkinkreet - Soli contro tutti, anche questo di mano nipponica, si è quindi conclusa la decima edizione del Future Film Festival, una manifestazione a cui è mancata una degna risposta da parte del pubblico, con proiezioni mattutine deserte e film passati in serata che hanno raccolto una partecipazione sicuramente più significativa, ma senza registrare mai il tutto esaurito. Il variegato programma di questo decennale della kermesse ha proposto un buon livello complessivo delle opere presentate, con almeno un paio di titoli che ci hanno sorpreso per quanto hanno saputo dire attraverso l'animazione o i prodigi digitali. Oltre al tenero romanticismo del film vincitore, scelto dalla giuria "per la sua grafica interessante e originale, una storia coinvolgente e un messaggio forte e non retorico", ricorderemo certamente l'emozionante storia d'amicizia tra i due ragazzini emarginati di Tekkonkinkreet e l'incanto senza voce offerto da un film sottovalutato come La antena. Ora ci si chiede quanti di questi titoli raggiungeranno il pubblico delle sale e dei supporti digitali, e quale può essere il futuro di un festival che non riesce ad attrarre, nonostante il grande sforzo comunicativo, un numero consistente di spettatori. Una formula che probabilmente andrà ripensata, sperando che a farne le spese non sia la qualità della sua offerta.