Sono stati tanti i pontefici che negli anni sono saliti al soglio pontificio, poi celebrati da miti sul piccolo schermo. C'è stato un Papa però, capo della Chiesa per un periodo chiave della storia italiana e internazionale, che è stato completamente rimosso dai nostri ricordi. Giovanni Battista Montini, incoronato Papa il 21 giugno 1963 con il nome di Paolo VI, ha guidato la Chiesa cattolica per quindici anni, eppure sono in pochi oggi, fra la gente comune, a ricordarsi dell'uomo che ha traghettato la Chiesa nella modernità. Prodotta da Rai Fiction e già acquistata da alcuni paesi del Sud America, dalla Polonia e dagli Stati Uniti, Paolo VI - Il Papa nella tempesta ha come suo protagonista Fabrizio Gifuni nei panni di Paolo VI, una figura che ha attirato giudizi contrastanti a causa delle sue sfide e delle scelte difficili che ha dovuto prendere. Alla sede Rai di Viale Mazzini in Roma si è oggi tenuta la conferenza stampa di presentazione della fiction, che sarà trasmessa su RaiUno domenica 30 novembre e lunedì 1 dicembre. Erano presenti Gifuni, il regista, gli sceneggiatori Francesco Arlanch, Maura Nuccetelli e Gianmario Pagano, la produttrice Matilde Bernabei e Fabrizio Del Noce, direttore di RaiUno e di Rai Fiction.
Fabrizio Del Noce, è la prima volta da quando è presidente di Rai Fiction che partecipa a una conferenza stampa di presentazione di un prodotto della sua azienda. Perché?
Fabrizio Del Noce: Paolo VI è una fiction che ho fortemente voluto e ho dovuto superare diversi contrasti per farla realizzare. Ritenevo che a 30 anni dalla morte di Papa Montini e a 110 dalla sua nascita fosse importante per il servizio pubblico e per la collocazione editoriale di RaiUno dedicare una fiction a questa figura. Abbiamo sottotitolato la fiction 'Il Papa nella tempesta' perché, in tempi recenti, difficilmente un pontificato si è trovato in una situazione culturalmente e spiritualmente così difficile come quella in cui si è venuto a trovare Papa Paolo VI. Lui diceva "Si può scendere da un trono, ma non da una croce" e considerava appunto il suo pontificato proprio come una croce. I quindici anni in cui è stato Papa sono stati un periodo particolare, gli anni del '68 che avevano determinato grandi cambiamenti, durante i quali era in corso una decristianizzazione. Sebbene non sia stato un Papa popolare, era un uomo dalla grande cultura e dal forte rigore dei dogmi fondamentali della Chiesa Cattolica in tempi in cui era difficile difenderli. Lui parlava della presenza di Satana nella società, ha scritto un'enciclica contro i contraccettivi, ha ribadito la presenza reale di Cristo nell'eucarestia. Sono stato mosso nel promuovere questa ficion dalla necessità di dare una profondità al servizio pubblico che spesso viene accusato di non dare grande spazio ai temi importare. Qualcuno potrebbe rilevare delle mancanze, ma in 200 minuti non si può pensare di affrontare tutte le angolature non solo di un pontificato, ma di un periodo storico così ampio.
Fabrizio Gifuni, come si è preparato al ruolo?
Fabrizio Gifuni: In questi miei quindici anni di carriera, sono passato attraverso tanti ruoli, dai rapinatori di banca agli statisti, smarcandomi da un gioco che l'industria dello spettacolo tenta di fare ogni giorno, cioè incaselare un attore in un ruolo per poi incastrarlo e stritolarlo.
Trovo i personaggi storici interessanti da interpretare perché danno a noi attori la possibilità di conoscere determinati periodi storici. In questo caso, ho visto l'Italia e il resto del mondo dalla prospettiva delle finestre delle stanze del Vaticano. Per esempio, ho visto la storia tragica del rapimento di Aldo Moro attraverso il rapporto privato che questi aveva col Papa. Non mi sarei mai immaginato nella vita di interpretare un Papa e per prepararmi al ruolo sono partito da una domanda: "Come mai questo Papa, una figura centrale nel Novecento, è finito in un cono d'ombra, completamente rimosso dall'immaginario collettivo?" C'è da dire che le sue doti comunicative non erano certo meno sviluppate di quelle di Papa Wojtyla, perciò bisognava scavare in un altro senso. Se vai a Città del Vaticano, nelle librerie o nei negozietti di souvenir, ti accorgi che non esiste una sola immagine di Paolo VI, un destino insolito per un papa che è stato tale nei quindici anni più interessanti del Novecento che hanno cambiato per sempre il mondo.Perché secondo lei, Paolo VI è stato dimenticato?
Fabrizio Gifuni: L'unico ricordo che si ha di lui è che era un uomo strano, impreciso. E' stato definito "amletico", ma con Amleto ha condiviso solo la stessa sorte, l'equivoco cioè di venire considerato dubbioso, indeciso, triste. Amleto invece era un personaggio fortissimo e come Paolo VI era un intellettuale, tutt'altro che indeciso.
Montini si lasciava attraversare totalmente dalla complessità delle cose, ha avuto aperture sconvolgenti per quel periodo e poi improvvisi irriggidimenti. Ascoltando le sue registrazioni poi viene fuori una carica di entusiasmo e un livello emozionale diverso dalla figura del Papa triste, spento, severo. Pensiamo per esempio a quando chiamò a raccolta nella Cappella Sistina tutti gli artisti di Roma per chiedere loro scusa per come la Chiesa si era comportata nei loro confronti. Inoltre, Paolo VI era un grande mistico e raramente l'anima mistica si accorda con quella intellettuale.Quali sono stati invece i suoi errori?
Fabrizio Gifuni: Nel film, dopo l'incontro in India tra Montini e Madre Teresa di Calcutta, Don Giulio Bevilacqua dice al Papa: "Madre Teresa non parla d'amore, ma ama". Era un invito affinché si sforzasse di contenere la razionalità per fare qualcosa di concreto. Giovanni XXIII aveva una capacità comunicativa straordinaria, che gli veniva in parte dal suo passato da attore, e ha saputo sfruttare questo talento. Paolo VI non s'è mai posto il problema finché il suo padre spirituale non l'ha spronato a mettersi in gioco.
E' impressionante la cura con la quale ha portato in scena questo personaggio, anche dal punto di vista mimetico. Come c'è riuscito?
Fabrizio Gifuni: Mi sono documentato il più possibile dal punto di vista audiovisivo e delle letture, sprofondando in una prima fase dentro il materiale per poi metterlo da parte e dimenticarlo, altrimenti correvo il rischio di rimanere schiacciato dal modello realmente esistito. Sarebbe però insensato non tenere conto di certe caratteristiche anche fisiche del personaggio. Ho cercato di cogliere le cose più interessanti di Paolo VI, studiando per esempio le registrazioni delle sue udienze private che la produzione mi ha messo a disposizione. Mi sono accorto che aveva una voce leggera, ma faceva di tutto per costruirsi un tono più grave che non gli era naturale e che perciò talvolta si traduceva in delle stecche mentre parlava. Di lui mi affascinava poi il fatto che avesse nel suo dna il codice anche gestuale di un Papa.
Fabrizio Costa, come ha costruito il film?
Fabrizio Costa: Questi racconti di figure storiche si fanno con la collaborazione degli sceneggiatori e quando la materia scritta passa al regista, questi si fa un'idea di quello che vuole esprimere e tenta di tradurre quanto già scritto in un lavoro cinematografico. Considerata la complessità della storia, bisognava tradurla in una chiave popolare. In questo senso, l'elaborazione della sceneggiatura è stata piuttosto laboriosa. Dovevo dare uno stile a questo racconto, perché solo così si poteva trasformare questi concetti in qualcosa di popolare ed emotivo.
Quali sono stati le maggiori difficoltà per gli sceneggiatori nell'affrontare la storia di Paolo VI?
Gianmario Pagano: La nostra principale difficoltà dal punto di vista narrativo era inventare una narrazione su Paolo VI perché mancava questo mito popolare.
Abbiamo cercato di raccontare quanto sia difficile fare il Papa, quanto una responsabilità possa portare un uomo a sfidare i propri limiti. Ci siamo interessati al suo percorso cristiano: lui accetta questa chiamata e risponde fino in fondo con l'offerta di sé. Questa chiave drammaturgica ha ovviamente esaltato il potenziale umano e va ad intrecciarsi con l'interesse verso un periodo storico interessante per il mondo attorno a Paolo VI e per l'internazionalità che lo riguarda.Francesco Arlanch: Mi ha profondamente affascinato questa figura di uomo del Novecento, figlio di giornalisti borghesi che fin da giovanissimo si è ritrovato in quella corte rinascimentale che era il papato degli anni Venti. Ha saputo portare il Novecento con la sua spinta alla comunicazione anche in quelle stanze ieraticamente chiuse. Il suo interesse verso il mondo contemporaneo è culminato nel Concilio in cui i nodi sono poi venuti al pettine. E' stata insomma una figura davvero interessante dello scorso secolo.
Gianmarco Pagano: Sicuramente Paolo VI aveva meno talento rispetto a Giovanni XXIII riguardo allo stare sul palcoscenico, ma che ci fosse bisogno di segni forti lo capiva anche lui. Dopo ogni viaggio in aereo si chinava a baciare la terra, andava a parlare coi carcerati, ecc, gesti e comportamenti che oggi appartengono ai Papi ma che sono iniziati da lui. Inoltre, tutti i cardinali di oggi sono stati scelti da lui, quindi la sua importanza è ancora sotto l'occhio di tutti. Sono convinto che la storia darà il giusto riconoscimento a quest'uomo che ha saputo trasformare la Chiesa, poiché tutte le riforme più importanti del ventesimo secolo sono avvenute sotto il suo pontificato.
Il personaggio di Matteo, figlio di una coppia di conoscenti del Papa, ha un ruolo molto importante nella seconda parte della storia. E' una figura realmente esistita?
Maura Nuccetelli: Il personaggio del ragazzo tentato di entrare in clandestinità e di affrancare i brigatisti è inventato. Avevamo necessità di raccontare la storia e la vicenda di Aldo Moro e la famiglia amica di Montini ci è stata utile in tal senso. Roberto, il padre, è un democristiano della prima ora che entra nel governo che sposerà la linea della fermezza, in contrasto con quella del Papa. Il figlio è invece un sessantottino che se ne va di casa ed è tentato di entrare nelle Brigate Rosse. La lettera che Paolo VI scrive per la liberazione di Moro non ottiene però l'effetto sperare, cioè quello di salvare il presidente DC. Nella nostra storia perciò il protagonista veniva sconfitto, tutto quello per cui aveva lottato andava sprecato.
Per noi era quindi importante che le sue parole fossero comunque servite a salvare delle vite e nel creare la figura di Matteo ci siamo perciò ispirati a persone che in quel periodo erano impegnate nella lotta armata e che si sono dichiarate profondamente colpite dalle parole di Paolo VI, tanto da far cambiare loro vita. Per il Papa queste parole furono un grande atto di volontà perché il suo intervento era considerato dai più inopportuno.Matilde Bernabei, come è stata preparata questa fiction su una figura caduta in pochi anni nell'oblio?
Matilde Bernabei: Siamo partiti dal vasto materiale su Papa Paolo VI e l'abbiamo studiato attentatamente per trasferire con calore al pubblico una vita complessa e non capita. La nostra missione era farlo entrare nel cuore degli italiani e del pubblico internazionale che speriamo veda questa fiction. Lo sguardo di Papa Montini verso il mondo cattolico era estremamente innovativo, nonostante la decristianizzazione, e il lavoro di sceneggiatura è stato molto complesso, ma speriamo di essere riusciti a restituire onore a Paolo VI. Fabrizio Gifuni con la sua interpretazione ha poi dato spessore e calore a questa figura che sicuramente conquisterà il pubblico.
Come giudica la polemica dei giorni scorsi secondo la quale Papa Benedetto XVI non avrebbe apprezzato la fiction?
Matilde Bernabei: La polemica è nata da un prelato anonimo e questo la dice lunga sulla sua attendibilità. Noi c'eravamo quando, il 9 novembre, il film è stato visto in Vaticano e tutti i presenti gli hanno riservato una bella accoglienza.
Fabrizio Gifuni: Inoltre, il Papa si è avvicinato a me e mi ha detto "Complimenti, era molto difficile restituire la complessità di tutti questi passaggi" ed è stato molto emozionante per me ricevere i suoi complimenti.
Il Cardinal Silvestrini mi ha poi detto che la mia è stata l'interpretazione di un Papa più forte e bella a cui abbia mai assistito. Leggendo la famose fonte anonima che ha scatenato la polemica si parlava addirittura di dichiarazioni di Benedetto XVI che contestava un mancato o un troppo risalto all'impegno antifascista di Paolo VI. Ebbene, in Vaticano è stata proiettata solo la seconda parte del film che riguardava un periodo storico in cui era stato già superato il momento dell'antifascismo, quindi si tratta soltanto di fandonie.