Il 2019 è l'anno in cui il "regista a due teste" si è sdoppiato in occasione di incontri speciali: lo scorso marzo, in occasione delle Rencontres du 7e Art a Losanna, era presente solo Joel Coen, mentre il fratello Ethan Coen è stato protagonista di uno dei consueti Incontri Ravvicinati alla Festa del Cinema di Roma 2019. Un incontro il cui contenuto, per esplicito volere del diretto interessato, è stato top secret fino all'inizio dell'evento stesso: Antonio Monda aveva proposto una conversazione sul tema delle sceneggiature, essendo i Coen pluripremiati soprattutto per i loro copioni, al che Ethan ha risposto con un'idea alternativa, ossia la chirurgia. Un tema che forse si addice particolarmente a un cineasta che, come il fratello, tende a essere di poche parole e andare dritto al punto. Come quando gli si chiede, per esempio, se concorda con Martin Scorsese sui film della Marvel? "Sì, sono abbastanza d'accordo. Non mi dispiace che quei film esistano, perché per me Hollywood non è una parolaccia, ma che dominino le sale un po' sì."
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Medicina cinefila
Come mai ha scelto questo argomento per l'incontro, corredato da sette spezzoni di film (di cui due degli stessi Coen)? Risponde Ethan Coen: "Mi piace la chirurgia come espediente narrativo, soprattutto nei cosiddetti film di serie B e nei noir d'altri tempi, perché hanno premesse ridicole elaborate in modo molto serio. Penso a un film come Operazione diabolica, di John Frankenheimer, dove una misteriosa organizzazione è in grado di cambiarti completamente i connotati e darti una nuova identità, trasformando un tizio qualunque in Rock Hudson." Ha parlato del noir, la cui declinazione americana ha influenzato il suo cinema in maniera considerevole. Cosa pensa del genere in altri paesi, come la Francia o l'Italia? "A dire il vero non ne ho visti molti. Alcuni coreani, che mi sono piaciuti parecchio, ma la produzione francese, per esempio, la conosco poco."
Sempre a proposito di noir, Blood Simple - Sangue facile, l'opera prima dei Coen, è un raro esempio di film il cui director's cut è più breve della versione cinematografica. Qual è il motivo? "Volevano proiettare una clip in occasione di un premio alla carriera per Frances McDormand, e rivedendo il film io e Joel ci siamo detti che si poteva limare un po', rendere più serrato il montaggio." Potrebbe accadere con altri film? "Ho rivisto una sequenza di Barton Fink - È successo a Hollywood, e anche lì ho pensato che gli attori sono bravissimi, ma il montaggio può essere migliorato."
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Questioni di violenza
La quarta clip mostrata durante l'incontro è tratta da Audition, il celeberrimo film di Takashi Miike, ed è il momento in cui la protagonista femminile amputa il piede all'uomo. Una scena simile, molto esplicita, si potrebbe fare negli Stati Uniti? Risponde Coen: "Non saprei rispondere, perché non seguo molto la produzione horror americana contemporanea. Però da quello che leggo ne escono di film piuttosto brutali, quindi non credo che una sequenza come quella sia particolarmente eccessiva per gli standard statunitensi."
A tale proposito, i Coen hanno mai avuto problemi legati ai contenuti dei loro film? "No, perché chi accetta di finanziare i nostri progetti ha letto la sceneggiatura e sa che aspetto avrà il film finito." Autocensura, invece? "Quella ogni tanto sì, nel senso che io e Joel scriviamo sempre insieme, ci scambiamo idee varie e alcune le scartiamo. Altre possono sparire in sede di montaggio." Parlando della scrittura, gli attori seguono sempre il copione, o c'è spazio per l'improvvisazione? "Sul set non improvvisano mai, però può capitare, in sede di prove, che si modifichino delle battute perché in bocca a questo o quell'attore non hanno il suono giusto. C'è chi lavora con gli attori sulla costruzione dell'intera sequenza, come Mike Leigh, e lui fa un ottimo lavoro, ma non è il metodo che fa per noi."
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Questioni personali
Parlando sempre di scrittura, la filmografia dei Coen è piena di personaggi stupidi o che fanno scelte stupide. Come mai? "Se tutto va per il verso giusto, non c'è tensione drammatica." Raccontano spesso storie tragiche, ma intrise di humour. La commistione di generi è voluta? "Non esattamente, perché io e Joel quando scriviamo non ragioniamo in termini di genere. Ce ne rendiamo conto in un secondo tempo, o sul set o in sala di montaggio." C'è un film a cui è particolarmente legato, di quelli realizzati finora? "Non ne ho uno preferito inteso come film che mi piace rivedere, per il semplice motivo che non li rivedo proprio. Però in termini produttivi sono felice di aver potuto fare A Serious Man, perché quello trae ispirazione dalle nostre esperienze d'infanzia, parla di un mondo che non c'è più e che ricordiamo solo io e Joel, e quelli come noi." Un rimpianto? "Dovevamo girare Oceano bianco, dal romanzo di James Dickey. Un film ambientato a Tokyo durante la Seconda Guerra Mondiale, con Brad Pitt nei panni di un soldato americano. Sarebbe stato per lo più senza dialoghi, perché lui non parla la lingua locale. Purtroppo non siamo riusciti a farlo, forse anche perché è una survival story senza la sopravvivenza."