Liberamente ispirato al saggio Io volevo ucciderla, dei criminologi Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, Elisa, presentato in concorso a Venezia 82 prima dell'uscita nelle sale il 5 settembre, racconta la storia vera di Stefania Albertani, condannata per l'omicidio di sua sorella. La protagonista del film di Leonardo Di Costanzo è Barbara Ronchi, a cui si affianca Roschdy Zem, che ha il ruolo di un criminologo, Alaoui, che vuole incontrarla per capire cosa l'abbia spinta a quel gesto estremo.

Dopo Ariaferma Di Costanzo torna a indagare le origini e le ragioni del male. Nel farlo trova uno stratagemma interessante: è quasi come se l'assassina e il criminologo si trovassero in una specie di Purgatorio. E in effetti il crimine terribile da lei compiuto sembra appartenere a una dimensione non umana: Elisa non soltanto ha ucciso la sorella, ma ne ha anche bruciato il corpo. E ha tentato di fare lo stesso con i genitori.
Come ci ha detto Zem, incontrato al Lido insieme a Ronchi, entrare nella mente di una persona che ha commesso un omicidio così efferato è un'esperienza potente: "Credo che questo ci rimandi anche alle nostre paure, alle nostre angosce. Perché i criminali, come il personaggio di Barbara, sono persone che ci assomigliano. Non sono banditi, non sono grandi delinquenti, sono persone del tutto normali. Quindi questo ci rimanda a qualcosa di personale e al nostro lato oscuro. Compiere questo passo è qualcosa che ci proibiamo di fare, ma quando leggiamo sui giornali, nella cronaca nera, che alcune persone non riescono a superare questo limite e cadono nell'omicidio e nell'irreparabile, credo che in qualche modo ci proiettiamo inevitabilmente nell'empatia con la vittima, il che è logico, ma allo stesso tempo, credo che, inconsciamente, ci identifichiamo anche con l'assassino. E questo fa molta paura".
Elisa: intervista a Barbara Ronchi e Roschdy Zem
Il true crime è sempre stato amato, ma negli ultimi 10 anni è diventato un'ossessione collettiva. Grazie a infiniti podcast e video su YouTube è un interesse che viene costantemente alimentato. Pensiamo anche soltanto a questa Mostra del Cinema: l'Italia ha portato Il Mostro di Stefano Sollima, miniserie sul Mostro di Firenze, e questo Elisa. Perché le storie di assassini e serial killer ci colpiscono così nel profondo?
Barbara Ronchi: "Penso perché sono dei tabù di cui non si voleva e non si poteva parlare. In questo interesse non credo ci sia qualcosa di morboso, ma la voglia di registi e scrittori di comprendere che cosa ci sia dietro il mero titolo di cronaca nera. C'è la voglia di capire la complessità. Credo anche che ogni storia sia una storia a sé. E noi, in quanto spettatori, uomini e donne, abbiamo la voglia di comprendere".
La storia di Stefania Albertani e la forza devastante del rimosso
Nel film di Di Costanzo il criminologo indaga anche la rimozione dell'omicidio da parte di Elisa/Stefania Albertani. La donna non ricorda cosa sia successo, arrivando a cancellare completamente quei momenti. Soltanto facendoli riemergere può comprendere davvero la gravità del proprio gesto e cercare quindi di andare avanti. In un mondo in cui tutto sembra sempre più esposto, grazie ai social e a internet, e invece poi cerchiamo di dimenticare e mettere da parte cose gravissime, da guerre a verità che ci danno fastidio, quanto è importante mostrare invece che bisogna affrontare le cose, così da assumersene la responsabilità?

Ronchi: "La rimozione in qualche modo non ti fa pensare. Ti impedisce di fermarti a quel momento, spingendoti ad andare sempre avanti, pensando che quelle cose non siano mai accadute, o comunque a non dar loro il giusto peso. Io penso invece che sia importante fermarsi, anche nei momenti più duri. Può essere un'occasione per capire qualcosa di più di noi, profondamente, piuttosto che andare avanti e dire che va tutto bene. Forse fermarsi anche nei momenti più oscuri e pensare a cosa sta accadendo è un bel percorso per ognuno di noi".