È stata la rivelazione delle recenti Giornate degli Autori Veneziane, il film che Paolo Sorrentino avrebbe voluto come candidato agli Oscar 2017 per l'Italia al posto di Fuocoammare, il coraggioso tentativo di Edoardo De Angelis di riscrivere il linguaggio del cinema di casa nostra: Indivisibili irrompe così in questo inizio di stagione e si impone per bellezza e visceralità, per quell' interiore lotta tra bello e brutto, magia e realismo che non prova a trovare nessuna consolatoria ricomposizione.
Alla base un grande lavoro di scrittura, la sapienza di una fine regia e le interpretazioni delle giovanissime e disarmanti Angela Fontana e Marianna Fontana, diciannove anni appena, gemelle nella vita e qui anche sul set nel ruolo delle protagoniste Daisy e Viola, gemelle siamesi attaccate per il bacino e costrette dalla famiglia a esibirsi come fenomeno da baraccone in una decadente Castel Volturno; addobbate come sante, dispensatrici di miracoli, portafortuna di una umanità grottesca e disperata, ma soprattutto fonte inesauribile di guadagno per genitori, zii e parroco del paese almeno fino a quando non scopriranno di potersi dividere. Il viaggio di Indivisibili è appena cominciato e ora, dopo il successo al Toronto International Film Festival, si prepara alla tappa londinese che a ottobre lo vedrà approdare al BFI London Film Festival: "Venezia, Toronto, Londra, Napoli: è la dimostrazione di quanto a volte la scelta di radicare profondamente un racconto in una realtà specifica non produca un effetto di ghettizzazione, ma sia invece occasione per mettere a fuoco sentimenti universali", commenta il regista alla presentazione romana del film in compagnia delle attrici protagoniste e degli sceneggiatori, Nicola Guaglianone e Barbara Petronio.
Gemelle diverse
Cosa ha significato essere Daisy e Viola?
Marianna Fontana: Ci è rimasto molto di loro, ci hanno fatto crescere e superare le nostre timidezze, ci hanno insegnato a vivere e a capire quanto sia importante la libertà e l'indipendenza di una persona.
È stato difficile interpretarle, restare unite e camminare con tre gambe per tutto il tempo non era affatto semplice.
Angela Fontana: Siamo gemelle ma essere siamesi è completamento diverso; non puoi vivere la tua libertà: fa male ma ti permette di crescere perché capisci cosa vuol dire accettarsi per quello che veramente si è.
Che gemelle siete nella vita di tutti i giorni?
A. F. : Come tutti i gemelli abbiamo un' affinità mentale molto forte e viviamo sensazioni in comune, ma lavorare insieme è stato molto particolare perché ciascuna di noi ha la propria indipendenza e l'idea di dividerla con l'altra è complicato.
Viviamo il nostro essere gemelle come tutti, ma il concetto di divisione è presente sin da quando eravamo piccole, fa male ma lo devi accettare.
M. F.: Condividiamo le stesse passioni, siamo migliori amiche oltre che gemelle.
Come hai scelto chi doveva interpretare Daisy e chi Viola?
Edoardo De Angelis: Hanno scelto loro. Al primo provino chiesi a entrambe di assegnarsi un ruolo: l'ho fatto perché Angela e Marianna sono molto vicine alle due protagoniste, sono siamesi nell'anima, legate in maniera indissolubile. E sono affascinato dalla possibilità del cinema di far succedere delle cose; non è sempre necessario forzarle, ma porre le basi perché succedano è sufficiente per cogliere la magia che emoziona chi guarda.
Come avete coltivato il loro talento?
E. D. A.: All'inizio temevo di dover equilibrare la loro mancanza di esperienza e le ho affiancate a un gruppo di attori professionisti, ma hanno dimostrato sin da subito una straordinaria capacità di apprendere le basi del mestiere, così la presenza degli altri attori è servita solo da rilancio.
Angela e Marianna hanno una grande attitudine al lavoro e una rettitudine incredibile: per tre mesi hanno vissuto camminando, correndo e nuotando legate l'una all'altra, andando insieme persino in bagno e abbattendo così delle soglie di intimità mai abbattute in precedenza.
La protesi in silicone che dovevano indossare per rimanere unite durante le scene le obbligava a cinque ore di trucco ogni giorno: sono state quindi sottoposte a uno stress fisico molto importante, che ha generato però alla fine un'interpretazione naturale che va aldilà delle indicazioni di messa in scena o di sceneggiatura. A un certo punto Marianna e Angela hanno cominciato a vivere semplicemente come le protagoniste, scrivendo dei diari segreti firmati Daisy e Viola e che non ho mai letto per non violare quella intimità; inoltre abbiamo girato in sequenza proprio perché potessero vivere la trasformazione dei personaggi sulla propria carne e sui loro sentimenti.
E l'idea di vestirle come delle icone religiose?
E. D. A.: Le due gemelle sono richieste non solo per la loro bella voce, ma anche perché si crede portino bene: la loro unione è un po' come la gobba, ma con una implicazione ancora più forte perché tutto si svolge in un luogo privo di speranza.
La famiglia di Daisy e Viola offre a questa umanità disperata l'icona di due sante legate e dotate del dono del bel canto.
È un momento storico in cui la religione sembra dare pericolosamente risposte a chi non ne ha e mi piace pensare che questo film proponga con forza l'unico vero miracolo: l'innocenza di queste due ragazze, che va solo protetta.
Libere di scegliere
Il finale del film sembra poco in linea con il resto: avevi pensato a una soluzione diversa?
E. D. A.: Sì, ci ho pensato, ma volevo dare a queste ragazze il premio della libertà di scelta, della libertà di stare insieme.
Per poterlo fare Daisy e Viola pagheranno un prezzo carissimo, ma nello stesso tempo saranno capaci di uno slancio vitale che le porterà alla liberazione.
È un film sulla lotta, la sofferenza e la fatica, e in questo non c'è spazio per nessun tipo di buonismo.
Le protagoniste conquisteranno alla fine la possibilità di affermare la propria identità fuggendo dal reality perenne a cui la famiglia le costringe, cercando di eclissarsi e di abbandonare la ribalta, a caccia di un'esistenza da individui separati: spero che questa storia possa parlare anche a quelle loro coetanee che desiderano invece la continua esposizione.
Qual è l'idea alla base del film?
Nicola Guaglianone: Avevo letto sul New York Times l'articolo di una giornalista che aveva vissuto per due settimane con delle gemelle siamesi e mi aveva colpito l'idea di due persone che non erano abituate a dire 'io' ma 'noi'.
Di solito quando comincio a scrivere un film penso subito alla locandina per darmi un po' il tono della storia e in questo caso mi ero immaginato un poster con due water attaccati, un momento di intimità totale rotto da due persone costrette a stare sempre insieme: siamo partiti da lì per riuscire poi a separarle e dare loro la possibilità di dire 'io'.
Abbiamo discusso tanto su quel finale, ma poi abbiamo deciso di premiare delle persone che hanno avuto il coraggio di ribellarsi al proprio destino e alle scelte degli altri, perché mai come in questo momento chi si ribella alle scelte della morale comune merita di vincere.
La musica e i luoghi
Indivisibili è anche la musica straordinaria di Enzo Avitabile...
E. D. A.: Prima ancora di incidere la colonna sonora di Indivisibili Enzo Avitabile ha inciso quella di gran parte della mia vita. I Bottari di Portico, i percussionisti che accompagnano Enzo e che usano botti di vino come strumenti, vengono da un paese in provincia di Caserta dove sono cresciuto e rappresentano la base più concreta della colonna sonora, mentre il saxello di Enzo rimanda alla parte più eterea e spirituale.
La musica del film è presente su tre livelli distinti: il primo è quello diegetico rappresentato dalle canzoni interpretate dalle gemelle, il secondo è la colonna sonora originale e il terzo è un livello non udibile, perché nella costruzione di ogni scena abbiamo usato un ritmo ricalcato su quello delle botti. Provavamo con un cronometro e una cassa che ne propagava il suono, poi tutti gli attori si sincronizzavano su quel ritmo e poco prima di girare portavamo via le botti: a quel punto però il ritmo era rimasto nella testa e nelle orecchie degli attori.
Il paesaggio ha una forza espressiva tale da poter essere considerato un terzo personaggio del film.
E. D. A.: L'ambiente circostante è senza dubbio protagonista, è specchio sia della storia che dei personaggi.
Castel Volturno e il litorale domizio sono luoghi che hanno conosciuto la bellezza e che ora portano su di sé le cicatrici di una violenza perpetrata per anni; ma sono anche un posto dove la possibilità di ricostruire e ricostruirsi resiste sempre, proprio come succede alle due ragazze.
La ricerca
Dove si pone questo film nel suo percorso di crescita autoriale?
E.D.A.: Il nostro tentativo è stato e continua a essere quello di focalizzare un determinato linguaggio cinematografico, e da Mozzarella Stories a questo film l'obiettivo si è sempre più ristretto.
Mozzarella Stories era un film multilineare con storie diverse che si intrecciano, in Perez c'era invece un unico protagonista e si cominciava a delineare quanto mi interessi la relazione conflittuale tra l'uomo e l'ambiente. Qui abbiamo ristretto ancora di più l'obiettivo: siamo andati addosso al racconto di questi due personaggi dove ogni primo piano è un primo piano a due, ogni campo è contemporaneamente un controcampo, anche se il fuoco del racconto rimangono Daisy e Viola.
Le storie della famiglia in fase di scrittura e di ripresa erano molto più ampie rispetto a quello che oggi si vede sullo schermo, ma abbiamo fatto la scelta radicale di seguire soltanto loro due, diventando ognuno di noi un terzo gemello.
È una ricerca che va avanti anche da un punto di vista formale; il nostro intento è quello di realizzare delle sequenze sempre più lunghe, quindi abbiamo completamente abbandonato la messa in scena che pretende uno spezzettamento in più campi della ripresa: tutte le riprese sono realizzate dall'inizio alla fine della scena perché il piano sequenza ci permette di rispettarne il tempo interno, di restituire un maggiore realismo e ottenere riprese che assomiglino di più alla vita. Più la tecnica diventa sofisticata e più la macchina da presa si eclissa, anche con dei fuori tempo, proprio come succede nella realtà. Forse con questo film abbiamo trovato una cifra stilistica che riesce a esprimere le emozioni in maniera più diretta; il filtro della macchina cinematografica è estremamente poco palpabile e la mia intenzione è approfondire e estremizzare questa ricerca sempre di più.
Quali sono state le tue fonti di ispirazione?
E. D. A.: Ho visto Freaks di Tod Browning, e Daisy e Viola sono una napoletanizzazione dei nomi delle leggendarie Daisy e Violet Hilton, presenti in quel film. Un ritratto di queste due gemelle è stato poi determinante per la realizzazione di Indivisibili: Daisy e Violet erano molto belle ma a loro modo dei mostri e in quella immagine c'era tutta la vertigine di attrazione e repulsione che il film cerca di ripercorrere.
Tutto è in bilico tra due anime: il terreno e lo spirituale, il brutto e il bello, e non insegue necessariamente un equilibrio perché lo sbilanciamento crea emozione.
La dimensione della favola appartiene a questo film?
E. D. A.: Già in sceneggiatura la scommessa era un racconto realista, perché il film doveva puzzare della vita dei due personaggi.
Le implicazioni favolistiche sono date dalla realtà raccontata e dal desiderio di superarla; non so se abbiamo attinto consapevolmente a degli elementi del genere favolistico.
È vero però che la magia permea il modo in cui soprattutto noi del Sud Italia vediamo la realtà ed è il modo in cui riusciamo a individuare delle vie di fuga dalle costrizioni e dalla desolazione di un certo mondo.