La carne, il pensiero, il sentimento. Dag Johan Haugerud chiude la sua ideale trilogia cinematografica spostando l'attenzione verso l'idealizzazione dell'amore agganciata all'archetipo del sogno. Lo fa attraverso l'intelletto e attraverso la parola. Una parola scritta e orale. Sotto, il fervente cuore di una Norvegia scaldata dalla fotografia caldissima di Cecilie Semec, andando a creare un contrasto, tuttavia, dottrinale.

Presentato al 75esimo Festival del Cinema di Berlino, con tanto di Orso d'Oro alla miglior pellicola, Dreams (Sex Love) è allora un doppio esempio: cartina al tornasole della temperatura dei festival, nonché accentuata rimostranza di quanto il cinema europeo sia, a volte, fin troppo concentrato sull'idea più che sulla pratica, dissipando spunti e valori. Del resto, non è un segreto dire che l'ultima Berlinale non sia stata tra le più memorabili (con più o meno velate accuse alla nuova direttrice Tricia Turtle, rea di non aver espresso al meglio l'identità del festival), e la vittoria di un film come Dreams ne è la dimostrazione: un'opera certo umana e certo intima, ma quasi rimpicciolita. Talmente piccola che sfugge, risultando quasi intangibile.
Dreams: l'amore giovanile

Dreams (con il titolo originale Drømmer) segue essenzialmente l'infatuazione della diciassette Johanne (Ella Øverbye) per la sua insegnante di francese Johanna (Selome Emnetu). Divario d'età, i ruoli incompatibili, il giudizio famigliare. Se la relazione sembra impossibile, Johanne non si scoraggia ed accentra tutti i suoi pensieri nei confronti della professoressa dalla vena artistica (insomma, la classica insegnate che fa girare la testa ai propri studenti: concetto nobilitato con intelligenza e delicatezza dal regista). Una marcata idealizzazione da parte della ragazza, convinta che anche la prof Johanna abbia un interesse ricambiato. Ma se Dreams è un film dettato (letteralmente) sulle parole, Johanne si ritroverà con il bisogno di esternare i propri sentimenti. Con chi? Con la nonna materna Karin (Anne Marit Jacobsen).
Un voice-over che non lascia scampo
Come già visto in Sex e Love, anche in Dreams il luogo svolge un ruolo chiave: Oslo collega lo sguardo della protagonista, nel pieno della formazione sentimentale. Un coming-of-age a tutti gli effetti, la rappresentazione del primo amore, e del tumulto fisico e psichico che ne deriva. Haugerud, mosso da un fortissimo sentimento, si affida però ad un invasivo voice-over che irrompe sulle immagini, creando un certo disaccordo tra il pensiero della protagonista e la nostra partecipazione alla sua meravigliosa infatuazione. Un voice-over serrato e illustrato, che analizza ogni passaggio interiore della protagonista, senza lasciar mai lo spazio ad una lettura meno formale, e quindi più libera rispetto all'emblematico titolo scelto. Di conseguenza, i pensieri di Johanne fungono da struttura ripetitiva di una narrazione che si rifà al prospetto adolescenziale, spalancato verso una costante coltivazione del sogno.

I sogni appena nati e i sogni irrealizzati (come quelli della nonna, o della mamma interpretata da Ane Dahl Torp), i sogni da accarezzare e i sogni da condividere. Uno strato fiabesco, quasi illusorio, che segue il profilo scenico di Dreams, risuonando meno incisivo e più sospeso, rigirando su se stesso fino ad un finale allungato che morde l'attenzione: se il cinema sembra non considerare più i novanta minuti, anche Dag Johan Haugerud si lascia trasportare esagerando con la durata. Certo è, se il debito dell'autore norvegese nei confronti della trilogia dei Colori di Kieslowski è palese (per favore, diteci qualcosa che non sappiamo), il meglio della conversazione intavolata da Dreams arriva dalla colonna sonora nu jazz di Anna Berg, che traduce - molto meglio delle mille parole - le emozioni di una ragazza innamorata.
Conclusioni
Dag Johan Haugerud chiude la sua trilogia vincendo L'Orso d'Oro alla Berlinale, con un romanzo di formazione tuttavia fin troppo minuto, e avvolto da una fitta coltre di parole in voice-over che rendono la visione poco spontanea. Il debito nei confronti di Kieslowski risulta fin troppo marcato, e la durata complessiva sembra sfidare l'attenzione: un minor metodo avrebbe reso forse più forte la libertà sentimentale rimarcata e sintetizzata in uno splendido amore giovanile.
Perché ci piace
- La colonna sonora di Anna Berg.
- Il cast funziona.
- L'emotività della prima storia d'amore...
Cosa non va
- ...sovrastata però dalle troppe parole.
- Il voice-over non aiuta.
- Dura venti minuti di troppo.