Dreamin' Wild, la recensione: Casey Affleck e il rumore dei sogni infranti

La recensione di Dreamin' Wild: una nuova storia vera per Bill Pohlad che, dopo il meraviglioso Love & Mercy, torna a parlare di musica, di speranza e di guarigione in un film dalla forte componente emotiva. Perché quando si parla dei glory days è impossibile trattenere le emozioni. Protagonisti Casey Affleck e Walton Goggins. Fuori Concorso a Venezia 2022.

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Dreamin' Wild: un'immagine del film

Negli Anni Settanta tutti volevano essere come Bob Dylan. Una sfida impossibile, persa in partenza. Centinaia e centinai di ragazzi nati e formati dalla folk music, dal country, dal rock. L'ossessione più grande, il desiderio da esprimere nelle lunghe notti stellate, a provare e riprovare quel pezzo scritto d'istinto e ritmato da una chitarra e da una batteria. Cuore, voce e battito. Quanti chilometri percorsi a suonare nei bar dimenticati, quanti sguardi complici lanciati a quella ragazza di cui hai scordato il volto, perso nei meandri di una memoria che, oggi, fa a botte con il passato. Speranza e delusione, estasi e rassegnazione attorno a quell'album inciso sacrificando ogni centesimo e ogni goccia di rabbia, finendo poi per essere irrimediabilmente dimenticato. Perché è così che va, è così che doveva andare. Del resto, si cresce, si smette di giocare, si torna con i piedi per terra. Il dolore viene sostituito dal rimorso, la rabbia si mitiga e diventa disillusione. Visto il film, vista la storia, abbiamo scelto un filo di dolente e amara poesia per aprire la recensione di Dreamin' Wild, scritto e diretto da Bill Pohlad.

Sì, lo stesso regista di quella folgorazione chiamata Love and Mercy, nel quale raccontava la vita (tutt'altro che facile) di Brian Wilson. E qui, nel suo ultimo film (presentato Fuori Concorso a Venezia 79), ci sono gli stessi riverberi legati ad un'altra guarigione, ad un'altra "schitarrata" a mano aperta che va' ad affievolire il rumore assordante di un sogno spezzato. Nel farlo, il bravo Pohlad sceglie ancora una volta una storia vera, nonché una storia di fratellanza e di famiglia, di emozioni e di perdono. In breve, la storia di Donnie e di Joe Emerson (Casey Affleck e Walton Goggins) che, a sedici anni, incisero un album, registrato nel capanno di legno costruito da papà Don (Beau Bridges). Quell'album, intitolato proprio Dreamin' Wild, come altre perle dell'epoca, passò totalmente inosservato. Joe sacrificò tempo e necessità, finendo per fare il taglialegna nella fattoria di famiglia, mentre Donnie aprì senza troppo successo uno studio di registrazione insieme a sua moglie Nancy (Zooey Deschanel).

Fallimenti, ballate e camicie di flanella

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Dreamin' Wild: una scena del film

Quarant'anni dopo, ecco la vita che fa il giro, riprendendo il filo di un discorso ormai sepolto: un produttore scopre per caso l'album, se ne innamora e prova a rilanciarlo. Una rimasterizzazione, un articolo sul New York Times, un tour. Insomma, Donnie aveva ragione: quell'album era una bomba. Il tempo sembra essere tornato indietro per lui e per suo fratello Joe, a quando i giorni di gloria passavano lenti, pronti per essere afferrati e divorati. Però, ci dice Pohlad, la macchina del tempo non esiste. E allora, ecco che il film, tra ballate, birra fresca, camicie di flanella e senso di redenzione, guarda in faccia la realtà: il passato vive solo nella nostra memoria e, per quanto doloroso sia, deve essere accettato per quello che è. Semplicemente non si può tornare indietro, semplicemente bisogna raccogliere i pezzi dei nostri sogni distrutti e farne tesoro utile per riallacciare i legami umani e, magari, allontanare i fantasmi che non ci fanno dormire la notte.

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Musica, famiglia e un sogno ritrovato

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Dreamin' Wild: Walton Goggins in una scena del film

Ed ecco spiegata la scelta stilistica di Pohlad, che rielabora gli umori alternando la linea temporale del 1970 e del 2011 (i giovani Donnie e Joe hanno il volto di Noah Jupe e di Jack Dylan Grazer), rimarcando quanto il tempo sia un'ineluttabile divinità pagana, che non arretra di un millimetro ma anzi scapiglia l'anima, finendo per farci riassaporare magicamente gli spiriti lontani, gli amori spariti e quelle meravigliose e sporche sonorità perdute. Del resto, Dreamin' Wild, che ricorda la vicenda di Sixto Rodriguez (a proposito di nuovi Bob Dylan...), è impregnato di musica e di immaginari fotografici, che tornano potenti ad invadere gli occhi, nonostante, va detto, una certa lungaggine nel finale.

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Dreamin' Wild: una sequenza del film

In questo senso Pohlad, che conosce la materia, sfrutta a pieno la figura dell'underdog e della rivincita, inserendo l'iconografia di un'America in cui è (ancora) tutto meravigliosamente possibile. Dall'altra parte è il valore della famiglia che tiene unita la narrazione, ed è la stessa musica che accompagna il film, miscelando perfettamente le inflessioni dei protagonisti per legarsi ad un sogno perduto e forse ritrovato. Come la suadente, passionale e rilassata Baby, gemma grezza scritta da Donnie Emerson, che ascoltiamo nei punti essenziali dell'opera. Tanto da diventare l'assoluta protagonista di una storia che riaccende i sogni d'infanzia, quando tutto era lì, pronto per essere affrontato con una consapevolezza leggera che avremmo perso per sempre. Insieme ad una canzone incompresa e a quella possibilità che non è mai arrivata.

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Conclusioni

Sogni infranti, famiglia, amore, redenzione, musica: concludiamo la recensione di Dreamin' Wild sottolineando quanto Bill Pohlad, nonostante un finale troppo lungo, sappia mescolare tutti gli elementi emozionali, enfatizzando una storia vera che, in fondo, parla a coloro che non hanno mai fatto i conti con il proprio passato. E poi Baby, di Donnie e di Joe Emerson, è pura dinamite...

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • Ci fa scoprire due musicisti incredibili.
  • Gli underdog al cinema funzionano sempre.
  • Un immaginario americano dove tutto è possibile.
  • Casey Affleck e Walton Goggins sono bravissimi.

Cosa non va

  • Il finale soffre di una certa lungaggine.