Doppia coppia
Professori di college in una piccola città universitaria, Jack Linden (Mark Ruffalo) e Hank Evans (Peter Krause) sono buoni amici, vanno a correre tra una lezione e l'altra e al pub dopo il lavoro. La moglie di Jack, Terry (Laura Dern), è la migliore amica della moglie di Hank, Edith (Naomi Watts), e i quattro sono spesso a cena insieme, serate in cui - mandati a letto i bambini - il vino scorre a fiumi e si ascoltano i dischi preferiti.
A Jack e Terry i piccoli problemi quotidiani hanno portato via la passione di un tempo. Hank, la cui unica vera passione è la scrittura, pur amando sua figlia e tenendo in grande considerazione la sua vita familiare, non è di fatto così interessato alla monogamia. Edith si rivolge a Jack in cerca di conforto. Quello che comincia come un gioco si trasforma in una serie di tradimenti che costringe tutti e quattro a confrontarsi con un enorme disastro emotivo.
I giochi dei grandi mette in scena il dramma di quattro persone troppo sofisticate per indulgere nella retorica del tradimento ma allo stesso tempo troppo emotive e disorientate per discostarsene del tutto. "Anche l'adulterio ha le sue regole" dice Terry a Jack. Il dolore dei quattro protagonisti scaturisce più dalla necessità impellente di reinventare la convenzionalità di una vita normale, quella convenzionalità che forse avevano creduto di superare adagiati nella loro rassicurante cultura e nel conforto degli agi materiali, che dall'orgoglio ferito dall'abbandono. Convenzionalità echeggiata dalla bella regia di John Curran che sfrutta magnificamente lo straordinario materiale umano a disposizione; ambientandolo in un clima di ripetizione seriale in cui il dramma irrompe nei luoghi della familiarità contaminati dall'inquietudine e dal senso di colpa. Le strade verdi in cui Jack e Hank vanno a fare jogging, le stesse strade verdi lungo le quali Jack passeggia in bicicletta con i suoi figli, immerse negli stessi boschi che fanno da sfondo ai focosi convegni con Edith.
Modificando continuamente il punto di vista, Larry Gross firma una sceneggiatura che consente al pubblico di identificarsi con ogni personaggio, amplificando le complesse correnti emozionali e i rapporti conflittuali. Questo delicato equilibro delle prospettive arricchisce la potenzialità drammatica del testo, aggiungendo piani di interpretazione a scene apparentemente banali, che derivano dai diversi gradi di consapevolezza di ognuno dei personaggi. Il suo merito maggiore è forse quello di non perdere la pietà e la compassione per i suoi personaggi, di non sottrar loro umanità trasformandoli in crudeli maschere alla Von Trier.
Ma, sia chiaro, niente di tutto questo sarebbe possibile senza la magnifica prova dei quattro attori (su tutti l'eccellente Mark Ruffalo, che stavolta si supera), capaci di cambiare registro con virtuosa disinvoltura, di sorreggere i complicati giochi sguardi, le alternanze di primi piani, i lunghi silenzi carichi di sofferenza, di dare corpo e carne alle loro emozioni mantenendo un tono sussurrato e rigoroso più vero e straziante di tanti sentimenti gridati.