Doposcuola con casquè
Pierre Dulaine è un raffinato danzatore di Manhattan, desideroso di rendersi utile alla collettività modo più significativo che dando lezioni di ballo da camera ai suoi ricchi e fortunati allievi, per lo più viziati rampolli di ricche famiglie alto-borghesi. Forte delle sue origini europee e armato di un suo naturalissimo savoir faire decide di insegnare a ballare a un gruppo di ragazzi "difficili", alunni di una scuola pubblica popolata per lo più da afroamericani e ispanici, violenti, riottosi e spesso nei guai con la giustizia.
La sua determinazione è destinata a cozzare contro la supponenza del corpo insegnanti, composto nel migliore dei casi da elementi disillusi e rassegnati a fare il loro lavoro nello spazio angusto e limitato lasciato libero dai pressanti problemi quotidiani che la scolaresca si trova ad affrontare. Il suo entusiasmo è destinato ad essere frustrato dalla naturale diffidenza dei ragazzi che vedono in malo modo l'interesse che Pierre profonde nel suo intento.
A poco a poco Pierre Dulaine (Antonio Banderas) riesce a conquistare la loro fiducia e, contemporaneamente, ad apprendere tante cose su quel mondo così distante che credeva di aver compreso. Lentamente troverà la strada per infondere in loro nuove speranze e una consapevolezza dei propri mezzi e del proprio valore che sembravano irrimediabilmente compromessi dalla violenza e dalla marginalità.
La sceneggiatura di Diane Houston si regge su assunti di per sé abbastanza arditi. Il primo: che un ricco insegnante di ballo di Manhattan decida di fare del volontariato insegnando danza in una scuola. Nulla ci è dato sapere sui perché e sui come questa vocazione si faccia spazio nel cuore di Dulaine, l'ambiente algido e sofisticato da cui proviene sembra essere dei più refrattari a qualsiasi cambiamento e per tutta la durata del film il protagonista non si scosta mai dal "pesce fuor d'acqua". Il secondo: che un gruppo di ragazzi del ghetto si impegni nell'apprendere il walzer e il fox-trot, gente abituata a girare con i coltelli in tasca che miracolosamente si convinca di come le buone maniere possano essere un valido modo per rimorchiare le ragazze e conquistarsi l'altrui rispetto. Il terzo: che in meno di un anno di lezioni un gruppo di neofiti svogliati possa gareggiare in una sfida ufficiale contro ballerini di lunga esperienza. Tutto quanto sopra genera nell'immediato un forte senso di ridicolo, che va ben al di là del tono leggero e scanzonato che il film vorrebbe avere.
Superato questo grave ostacolo alla partecipazione emotiva, gli spettatori si trovano davanti a una storia di riscatto delle più banali immaginabili, nella caratterizzazione dei singoli personaggi, nelle situazioni, nel loro svolgersi. Tutto arriva in modo assolutamente telefonato e prevedibile, di modo che la stramberia dei protagonisti, applicata a un materiale narrativo tanto tradizionale, appare ancora più grottesca di quanto in realtà non sia (e in realtà anche la banalità del plot finisce per risultarne amplificata).
Liz Friedlander, più che discreta regista di videoclip, cerca di metterci del pepe di suo ma non riesce ad andare oltre un'accozzaglia di movimenti frenetici e sconclusionati, limitatamente alle sequenze di ballo. Fermi immagine, zoomate e altre trovate abbastanza gratuite che tolgono al film quel minimo di poesia e di sincerità residue nascoste tra le pieghe della musica. Il cast è più che discreto (Banderas superlativo), ma proprio non basta.