Il lutto è un'ombra che elimina ogni barlume di luce; è un filtro che scolora il mondo, assorbendone le sfumature, desaturando la brillantezza. Come sottolineeremo in questa recensione di Dopo Oliver (in originale Good Grief) il film diretto, scritto e interpretato da Dan Levy (Schitt's Creek's) e disponibile su Netflix, è infatti una tela brillante attraversata da una pennellata di dolore. La morte del marito, e la rivelazione di un suo tradimento, sono nubi che adombrano il cielo del protagonista, Marc, interpretato dallo stesso Levy.
Quello che ne consegue è un tentativo di rinascita, una rielaborazione del lutto sostenuto dalle mani ferme di amici colpiti da altrettante fragilità e debolezze. Eppure, in questo percorso a tappe per ritrovare se stessi, qualcosa non funziona: il processo vacilla, la strada si dissesta, l'equilibrio si perde, per lasciare che ogni punto di forza finisca fuori pista, lungo sentieri oscuri, nebulosi, poco chiari, ma - soprattutto - poco emotivamente laceranti.
Dopo Oliver: la trama
La storia di Dopo Oliver? A Marc (Dan Levy, appunto) andava anche bene poter vivere nell'ombra dell'ingombrante marito Oliver (Luke Evans), ma quando quest'ultimo muore improvvisamente, il mondo di Marc si disintegra, spingendolo a partire con i suoi grandi amici, Sophie (Ruth Negga) e Thomas (Himesh Patel), per un viaggio alla ricerca di sé. Dove? A Parigi. Un viaggio durante il quale emergeranno alcune scomode verità che ognuno di loro dovrà affrontare.
Da Richard Curtis a Dan Levy
È un quadro neoclassico costruito sui retaggi di un maestro come Richard Curtis, Dopo Oliver. Dan Levy sembra aver studiato a fondo i tratti fondamentali della produzione del regista di Love Actually e sceneggiatore di Notting Hill. Ne ricalca ogni contorno, emula con dovizia di particolare ogni elemento narrativo e antropologico, per costruire un'immagine eterogenea d'insieme, composta da personaggi tanto differenti caratterialmente, quanto simili per i battiti persi, e le lacrime a fatica trattenute. Eppure, per quanto alacre nella scrittura, Levy non è Curtis, e ogni passaggio fondamentale di Dopo Oliver ce lo ricorda.
L'elaborazione del lutto del protagonista è un peso da dividere egualmente con i propri amici; un punto di partenza da cui rinascere e attraverso il quale tentare di indagare forme diverse di sofferenze e delusioni amorose. Un espediente narrativo apparentemente di forte impatto, grazie al quale ogni spettatore può facilmente riconoscersi, che va però a comporre un collage umano dispersivo e frammentato. Ogni portata emotiva va così a perdersi, passando attraverso delle crepe di una sceneggiatura che tenta di risultare compatta, ma che finisce per rivelarsi troppo tronfia e troppo retorica.
Le sofferenze umane riviste in chiave cinematografica
A Dan Levy interessa la componente umana e sentimentale della sua opera: lo dimostra il suo ricorrere a continui piani medi per immortalare ogni personaggio che gli si staglia davanti. La cinepresa diventa uno sguardo attento e indagatore, a scrutare ogni micro-espressione dei personaggi per raccoglierne un cambiamento di umore altrimenti impercettibile. Uno sguardo, e anche le orecchie capaci di cogliere ogni mutamento di tono e cambiamento vocale per comprendere lo tsunami emotivo pronto ad abbattersi all'interno di corpi statici all'esterno, ma febbrilmente dinamici all'interno. Ciononostante, questa necessità di destinare a ogni personaggio il proprio spazio, preclude una condivisione dell'inquadratura con i propri amici, conoscenti e/o amanti.
Quello che va dunque a caratterizzare Dopo Oliver non è più quel senso di condivisione e di comunità che intendeva fluttuare tra gli inframezzi delle sue parole e dei suoi raccordi, quanto un irritante lascito di narcisismo superficiale che blocca sul nascere il processo di affezione degli spettatori nei confronti di Marc e dei suoi amici. La stessa carica espressiva con cui Levy caratterizza il proprio personaggio, per quanto chiamata a enfatizzare il peso di un dolore che lo annienta, caricandolo di un fardello insostenibile sulle spalle, va a rasentare una sorta di patetismo che allontana lo spettatore nei suoi confronti, impedendogli di immedesimarsi in lui e condividere insieme ogni ferita aperta, ogni soffocante rivelazione, ogni caduta verso un baratro sempre più profondo.
... Perché sei un essere speciale, e io avrò cura di te
"L'arte è commemorazione del dolore" si afferma nel corso del film; ed è vero. Non solo quella figurativa, ma anche quella cinematografica, letteraria, o televisiva. Tra gli spazi di un montaggio, o di parole impresse su una pagina bianca, persiste una mano pronta ad asciugare lacrime. Un lutto, una mancanza, un tradimento, o una caduta personale: sono tanti i motivi che spingono lettori e spettatori a ricercare nella fantasia doppi diegetici a cui affidare i propri dolori per vederli rappresentati, e quindi esorcizzati.
Dopo Oliver poteva essere una di quelle mani che sostengono, cullano, e risollevano dalla paura di una perdita. Il cambio di fotografia, che da calda e accogliente, si fa fredda come un corpo esanime, sembrava raccogliere in sé la concretizzazione di una promessa sotto forma di sinossi; invece, il ritorno di quelle luci scintillanti e artificiali che illuminano città e corpi in movimento tra Parigi e Londra, non fanno altro che enfatizzare un senso di artificio e finzione pronto a rivestire di forzato pathos una storia che tanto poteva offrire, e che poco ha regalato.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Dopo Oliver sottolineando come il film diretto, scritto e interpretato da Dan Levy non riesca a concretizzare quanto di interessante e potente veleggiava tra gli spazi della propria sceneggiatura. Ogni mimica espressiva, la staticità dei personaggi e la carica interpretativa mandano al largo un film che tanto poteva offrire, soprattutto nel contesto dell'elaborazione del lutto, e che poco ha mantenuto.
Perché ci piace
- La storia di base.
- La tematica dell'arte come liberazione dal dolore.
- La durata.
Cosa non va
- L'eccessiva carica espressiva di Dan Levy.
- Una fotografia troppo calda in virtù dell'argomento trattato.
- Scavalcamenti inutili di campo.