Dope Thief è una grande serie. Per costruzione, personaggi, tonalità. Funziona, fin da subito, e nonostante la tipica lungaggine degli episodi centrali, comunque propedeutici per esaltare l'evoluzione dei personaggi, verso quella salvezza cercata nel bel mezzo della disperazione. Creata dalla penna di Peter Craig (tra i più quotati screenwriter di Hollywood), e ispirata all'omonimo romanzo di Dennis Tafoya (uscito nel 2009, va da sé che lo show cambia, e molto, diverse situazioni), la serie riflette con lucidità su cosa siano (e cosa non siano) gli Stati Uniti d'America post-pandemia.

Disparità sociale, resistenza, esistenza. Nello show c'è, senza edulcorazione, la pancia dell'America. Una lettura che esalta la tecnica narrativa seriale, di cui Dope Thief - disponibile in streaming su Apple TV+ dal 14 marzo - ne è folgorante esempio. Il biglietto da visita, tra l'altro, è di quello garantista: Ridley Scott dirige il pilot, prima di passare la macchina da presa ad altri registi compreso lo stesso Craig, che dirige la puntata finale.
Dope Thief: Brian Tyree Henry e Wagner Moura come Butch Cassidy e Sundance Kid

Dope Thief le scorribande di Ray e Manny (interpretati da Brian Tyree Henry e Wagner Moura: splendidi), due amici per la pelle che si conoscono da sempre. Hanno condiviso tutto, compreso il carcere minorile. Provano a lottare come possono, ma la Pandemia - la serie è ambientata nel 2021 - ha creato voragini sociali ancora più profonde. Servono soldi facili, e servono subito.
Dunque, senza rischiare e senza mai utilizzare la violenza, si fingono agenti della DEA, derubando i mediocri spacciatori di droga che infestano Philadelphia. Una sorta di routine, almeno fino a quando rapinano la casa sbagliata: la situazione sfugge di mano, ed ecco sul piatto della serie il più esplosivo dei casini. Si ritrovano braccati, rivelando inconsapevolmente uno dei più grandi traffici di droga della East Coast.
Il tema dell'amicizia maschile
Abbiamo citato i protagonisti, ma c'è da dire che Dope Thief può essere considerata una serie corale, vibrando anche grazie ai molti co-protagonisti: c'è la Mina, vera agente della DEA (Marin Ireland), che lavora in coppia con il collega Mark (Amir Arison), e poi ecco Theresa (Kate Mulgrew), madre de facto di Ray con la fissa per la lotteria, e speranzosa di poter far uscire dal carcere Bar (Ving Rhames), papà di Ray.
Al centro, però, c'è la corsa della coppia protagonista. Sembrano Robin Hood e Little John, ma anche Butch Cassidy e Sundance Kid: gli vogliamo spassionatamente bene, sono il paradigma di cosa voglia dire essere degli outsider. Materiale perfetto per un racconto, quindi, che non ha paura di risultare, il più delle volte, inaspettatamente sentimentalista e squisitamente emotivo: Dope Thief è infatti la rielaborazione del tipico crime-drama, ed è anche un'approfondita e tutt'altro che banale declinazione sul tema dell'amicizia maschile.
Uno spaccato americano

A tratti esplosiva e a tratti più ragionata (gli episodi sono otto, c'è tempo un po' per tutto), correndo fino all'epilogo, la serie creata dall'autore di Top Gun: Maverick risulta autentica anche nella rielaborazione sociale degli Stati Uniti d'America: in un certo senso, e come ci hanno confermato Brian Tyree Henry e Wagner Moura nel corso della nostra intervista video, Dope Thief sfrutta il panorama decadente e disgraziato di una spettrale Philadelphia (una delle big city americane più rilevanti dal punto di vista cinematografico) per sintetizzare il dislivello che schiaccia le varie classi sociali, accendendo appunto quella miccia perfetta per lo storytelling seriale.
In fondo, il viaggio sbilenco di Ray e Manny è molto simile al più classico dei romanzi di formazione, in cui i protagonisti stanno cercando ancora il loro posto nel mondo, dopo essere stati trangugiati e risputati dal loro stesso contraddittorio e inquieto Paese. Nemmeno a dirlo, un altro show che pone il punto a capo di quel sogno americano ormai morto e seppellito.
Conclusioni
Grande cast e grande scrittura per Dope Thief, ennesima serie di qualità che sottolinea l'ottima offerta streaming di Appel. Uno show che funziona, cominciare dalla narrazione e dal cast. Se Brian Tyree Henry e Wagner Moura sono perfetti insieme, i co-protagonisti riescono a far vibrare lo show, ponendo l'accento sulla disgregazione sociale americana, schiacciata da una logica asfissiante, spingendo i ceti sociali meno abbienti ad una sopravvivenza rischiosa e disperata. Uno specchio contemporaneo, che non rinuncia ad essere emotivo ed ironico.
Perché ci piace
- Brian Tyree Henry e Wagner Moura sono perfetti.
- La scrittura di Peter Craig.
- Il tono generale, e il ritmo.
- La location.
Cosa non va
- Forse, le puntate centrali sono ripetitive.