Certo è che la storia recente dell'Iraq, in particolare il regime di Saddam Hussein, si presta benissimo per un racconto cinematografico, e il regista di Once were warriors - Una volta erano guerrieri e del Bond movie 007 La morte può attendere non si è fatto scappare il ghiotto boccone. Per il suo ritorno in pista, a quattro anni di distanza da Next, Lee Tamahori sceglie una produzione indipendente e un cast giovane ma di innegabile talento per realizzare, insieme allo sceneggiatore di Ladyhawke Michael Thomas, l'adattamento del romanzo autobiografico dell'ufficiale dell'esercito iracheno Latif Yahia, costretto sotto ricatto a diventare il doppio di Uday Hussein, suo ex- compagno di scuola, e permettere così al vero principe di sfuggire alle grinfie dei suoi tanti nemici.
The Devil's Double, già presentato al Sundance, è ambientato alla fine degli anni '80 e vede impegnato il bravissimo attore britannico Dominic Cooper, già visto in Mamma Mia! e Tamara Drewe - Tradimenti all'inglese, scelto da Tamahori per interpretare entrambi i ruoli di Uday Hussein e del suo doppio. Al suo fianco di Ludivine Sagnier nel ruolo di Sarrab, la femme fatale concubina del Principe Nero che aiuterà Latif a liberarsi dal suo incubo.
I due attori principali insieme allo sceneggiatore Michael Thomas, all'attore Akin Gazi, il fratello minore di Uday, ai due attori che interpretano le guardie del corpo del giovane Hussein e all'autore del libro, il vero Latif Yahia, hanno presentato stamattina il film a Berlino, sentite cosa ci hanno raccontato della loro esperienza alle prese con questo drammatico gangster movie ambientato in Iraq.
Quanto c'è della sua storia in questo film?
Latif Yahia: Ho scritto questo libro nel 1992, ma delle trecento pagine originali ne vennero tagliate molte prima dell'uscita, la casa editrice voleva una storia più concentrata di quella che avevo scritto. Quando Lee mi ha detto di voler farne un film sono stato molto felice ed oggi mi sono davvero reso conto di che gran lavoro ha fatto per rendere al meglio la mia esperienza personale sul grande schermo. Ovviamente quello che avete visto è un film, la vita reale e la situazione in Iraq in quegli anni drammatici era molto molto peggio. Sono andato via dal mio paese vent'anni fa e ancora non riesco a dormire la notte. Sono anche molto contento delle interpretazioni di tutti gli attori, vengono dal cuore, e ringrazio Thomas per aver realizzato un adattamento così fedele alla mia storia ma anche tanto efficace dal punto di vista artistico e cinematografico.
Che situazione c'era quando ha lasciato l'Iraq e che situazione c'è ora che Saddam è stato deposto? Cosa sta accadendo ora nel suo paese, ha voglia di tornare oppure no?
Latif Yahia: Sono stato salvato dai servizi segreti iracheni che mi hanno fatto fuggire dal paese e spedito sotto copertura in giro per l'Europa. Ho vissuto in Irlanda a Londra ma non penso che tornerò in Iraq perchè l'Iraq che io ricordo è finito. Quando tornerò, semmai tornerò, sarà sicuramente dentro a una bara perchè non riuscirei a vivere in un paese che non è ancora educato a vivere in questo mondo. Dopo la liberazione dal regime di Saddam quattro milioni di persone hanno lasciato il paese, non c'è più nessuno che mi lega a quella terra ormai.
Dominic Cooper: La cosa più complicata è stata bilanciare i due personaggi e i due toni di recitazione, lo psicotico ridicolo ed estremo con il suo esatto opposto che si sforza di sembrare diverso. Questo è stato molto difficile per me, è dura interpretare un uomo che travalica tutti i limiti della decenza umana, uno che rapisce giovani ragazze all'uscita di scuola e le violenta, uno che fa feste in cui con la pistola in mano fa spogliare tutti a suo piacimento. L'intero personaggio per me era fuori dal mondo, l'ho visto e lo vedo tuttora come qualcosa che è parte della nostra storia recente con cui mi sono dovuto confrontare e non è stato di certo facile. Penso a quando ho dovuto guardare i video delle torture di Abu Ghraib, è stato qualcosa di straniante. Per me non c'è alcuna ragione dietro l'assoluta follia del personaggio ma ho dovuto trovare un appiglio per entrarci dentro.
Ci racconta la sua esperienza nel film e cosa vi ha fatto accettare il ruolo che vi è stato offerto?
Dominic Cooper: Quando ho letto la sceneggiatura mi sono subito reso conto che era un argomento delicato, quando mi è stato proposto ho valutato i pro e i contro ma dal momento che ho accettato mi sono detto che sarei stato quanto più accurato possibile nell'interpretazione del personaggio. E' una storia incredibile quella di Latif che Lee ha trasformato in un incredibile gangster movie ambientato a Baghdad, una città allo sbando guidata da un uomo lunatico e psicopatico che decide di crearsi un doppio. E' stato un dono per me come attore interpretare questo personaggio che mi ha dato così tanto spazio per ampliare la sua personalità e analizzarla su più livelli e da diversi punti di vista. Il fatto che Lee volesse fare un action ganster movie anzichè un biopic di Latif ci ha aiutato molto, ci ha dato più libertà di dare risalto alla sua visione degli eventi.
Ludivine Sagnier: Credo che con il personaggio di Sarrab, Lee volesse mostrare la città di Baghdad in una delle sue tante sfaccettature e descrivere bene la situazione del popolo iracheno di quegli anni. Un'aggiunta esotica all'assortimento di persone che popolavano la capitale in quegli anni difficili e caotici.
Quanto è stato difficile per lei da americano adattare questa storia al cinema?
Michael Thomas: Qualcuno sicuramente penserà che sia estremo ma molto di quel che accade è accaduto davvero, ho letto la storia vera di Latif e me la sono anche fatta raccontare da lui stesso che mi ci ha letteralmente trascinato dentro. Credo che da parte sua, di Lee e dei produttori ci sia voluto molto coraggio per realizzare un film come The Devil's Double, così come per gli attori, molto coraggiosi nel recitare in un film difficile come questo. Non l'ho ancora visto nella sua interezza e non ho ancora idea di come sia il film finito ma quel che posso dirvi è che un personaggio di questo spessore che ha addirittura un doppio, è affascinante a prescindere da tutto, di chiunque si parli.
Dominic, il suo ruolo è totalmente diverso da ogni cosa che lei ha fatto finora nella sua carriera, ha scelto di affrontare questa sfida per mettere alla prova il suo talento o c'è qualcos'altro dietro?
Dominic Cooper: Ho colto l'occasione al volo, non avevo mai lavorato in questo modo su un personaggio, quando ti capitano queste cose le devi cogliere al volo. Ho studiato molto per prepararmi, ho preso informazioni sui film di Lee, sullo staff tecnico coinvolto, e dopo una lunga chiacchierata con il regista ho fatto il provino e sono stato praticamente inghiottito dalla storia e dal modo in cui lui me la stava presentando. Ero consapevole dei rischi professionali e del grande lavoro fisico e psicologico che avrei dovuto fare per entrare nel personaggio. Ho dovuto fare un grande lavoro anche sulla lingua e sugli accenti. L'energia e la passione che tutti i miei colleghi e tutta la produzione hanno messo in questo film mi ha veramente colpito ma ancor di più mi ha colpito la storia di Latif e di un popolo che ha molto sofferto e soffre ancora per i soprusi subiti. Questa è stata la molla finale che ha fatto scattare in me il desiderio di cimentarmi in questa avventura.
Dominic Cooper: Certamente sì, per dare il meglio in questo film ho dovuto usare tantissimo il linguaggio del corpo, le impostazioni della voce e il cambio di look. Ogni giorno sul set le cose erano sempre diverse, i due personaggi erano in continua evoluzione. E poi non è da sottovalutare anche il sostegno della tecnologia usata per sovrapporre i due personaggi nelle scene in cui c'era tra loro un contatto fisico o un dialogo, il cambio di registro recitativo dall'uno all'altro mi ha letteralmente consumato, non è facile staccare la mente da una personalità per trasformarti immediatamente in un'altra. Avevo tanta pressione addosso, un'auricolare in cui qualcuno ti dice quando è il momento giusto per un cambio di voce e ti detta il timing del dialogo. E' stata una prova impegnativa, ma ne vado molto orgoglioso.