Do not Expect too Much from the End of the World, recensione: un trattato caustico e grottesco

Dopo il passaggio a Locarno e al Torino Film Festival, il film di Radu Jude arriva finalmente sui nostri schermi per raccontare una situazione lavorativa stressante e debilitante.

Do not expect too much from the end of the world, una scena del film

Difficile essere giovani al giorno d'oggi, soprattutto se affamati di arte, di idee, di inventiva. E allora, tanto vale non aspettarsi troppo dal mondo, e men che meno, dalla sua fine. Ed è proprio così che si intitola il nuovo film di Radu Jude presentato prima a Locarno, e poi al Torino Film Festival nel 2023: Do not expect too much from the end of the world (titolo italiano Non aspettarti troppo dalla fine del mondo (Do Not Expect Too Much from the End of the World).

Do Not Expect Too Much From The End Of The World Sequenza
Angela nelle vesti del suo alter-ego social

Caustica, frizzante, caotica, l'opera perde la sua concretezza di genere per vivere, mescolando, elementi eterogenei, così da esemplificare il ritratto frammentato, tanto della Romania di oggi, quanto della gioventù in generale. Tra road-movie, Nouvelle Vague, e video in stile influencer, come un pittore stravagante, Non aspettarti troppo dalla fine del mondo tratteggia il suo grottesco ritratto della contemporaneità tra le fila di un mondo che ha imparato a sopravvivere senza aspettative, ma lasciando tracce di sé tra attimi effimeri nello spazio di una bolla social.

Do not expect too much from the end of the world: un solo film, tanti generi

Do Not Expect Too Much From The End Of The World Frame
Angela durante le interviste di lavoro

È ancora buio a Bucarest quando alle 5:50 una sveglia suona, dando il via alla lunga, lunghissima, giornata di lavoro di Angela, giovane donna che lavora nel reparto di produzione video per conto di una multinazionale di stanza a Vienna. Il suo compito è quello di attraversare la città per raggiungere gli appartamenti di chi ha subito gravi infortuni sul lavoro: Angela li riprende con il cellulare per registrare un breve casting, perché nella società dello spettacolo non basta essere vittima di una disgrazia, ma bisogna avere un volto che risulti interessante.

Ed è alla ricerca di questa immagine perfetta che Angela si muove, si sposta, immortalata in in un bianco e nero senza sfumature, che si alterna al colore vintage di Angela merge mai departe, film del 1981 diretto da Lucian Bratu. L'Angela di ieri dialoga così con quella di oggi, stabilendo differenze e analogie di un mondo che nell'arco di quarant'anni ha saputo evolversi, per poi retrocedere. E la mancanza del colore, è un sintomo diretto di questa flebile aspettativa nei confronti di un mondo pronto a compiere un passo indietro, mentre tutto vuole andare avanti.

L'arte del ribaltamento cinematografico

Do Not Expect Too Much From The End Of The World
Ilinca Manolache nei panni di Angela

È un gioco di continui ribaltamenti, il film di Radu Jude: ribalta le attese, ribalta le aspettative, ribalta le certezze di un cinema classico, e ribalta anche la figura di Angela, pseudo influencer con Proust lasciato sul comodino. Perché dietro a quell'alter-ego social così tronfio di sé, dai tratti nazi e dalla bocca piena di parolacce, si nasconde una realtà di lavori sottopagati e di infinita fatica. Una donna, quella dell'Angela del giorno d'oggi, che (soprav)vive di quell'indipendenza femminile tanto auspicata dall'Angela del 1981. Ma quella fermezza vantata quarant'anni fa, sembra di poco sfiorare l'Angela di oggi, ormai limitata a compiere gesti ormai automatizzati, e perdere così il senso di passione e amore per il proprio lavoro. Un ennesimo ribaltamento, questo, per un trattato artistico e sociale su un gap generazionale dipinto con sarcasmo e dolorosa ironia. E così, il pubblico finisce per ridere di se stesso, di una realtà che è sua, che ha contribuito a creare e ora a subire.

L'inafferrabile leggerezza dell'essere

Do Not Expect Too Much From The End Of The World Immagine
Una scena di Do not expect too much from the end of the world

Patchwork di rimandi artistici, Do not expect too much from the end of the world, raccoglie e mescola stili differenti per sottolineare l'inafferrabilità del mondo di oggi, un mondo post-contemporaneo in cui è difficile trovare una propria identità perché già tutto detto, fatto, sperimentato. E così gli inserti da commedia anni Ottanta, e gli effetti di distorsione, tipici dell'arte sperimentale, risultano quanto mai consoni nel raccontare una quotidianità come la nostra, costantemente bombardata dal social, e allo stesso tempo rivolta a un passato infiocchettato come migliore, perché più vivibile, e più salutare.

Do Not Expect Too Much From The End Of The World Foto
Angela e i social

In un presente in bianco e nero, l'unico sprazzo di colore è dato infatti dalla condivisione di momenti effimeri, pensieri e attacchi colmi di livore su app sempre aperte: un'astrazione del nostro essere, e un'ostentazione edulcorata della nostra quotidianità, durante la quale l'utente medio (proprio come Angela) si colora di sfumature fittizie. Una volta spenta la fotocamera, eliminati i filtri, chiuse le app, ritorniamo alla nostra ordinarietà in bianco e nero, tra luci e ombre. Ma a colorare il mondo di Angela sono anche quegli inserti di un passato cinematografico che non solo mette in pausa il racconto principale, ma rimanda a un passato privo di tecnologie, durante il quale tutto veniva gustato e assaporato a velocità normale. Apatici, ci muoviamo veloci al mondo d'oggi, e con fare meccanico, proprio come in modo automatico la protagonista, stanca e sfatta, mastica una chewing-gum con fare ossessivo, dandosi il giusto ritmo mentre sfreccia da una parte all'altra della città.

In cerca di equilibrio

Do Not Expect Too Much From The End Of The World Scena
Una scena del film

Jump cut, tagli improvvisi di montaggio, una fotografia sovraesposta, e una continuità visiva che non combacia con i dialoghi (chiaro omaggio a Fino all'ultimo respiro): tutto deve sconvolgere, disorientare, facendoci perdere il senso dell'orientamento in un mondo tanto iperconnesso, quanto solo, inafferrabile. Colta nello spazio di riprese perlopiù fisse, la protagonista (un'eclettica Ilinca Manolache) diviene oggetto di uno pseudo-documentario; al volante della propria macchina, intenta a riprendere e intervistare vittime di incidenti sul lavoro, la giovane si fa portavoce di un'essenza umana fatta di sacrifici e fatica. Una fatica forse mai remunerata e nemmeno apprezzata.

L'equilibrio mancato di una cinepresa senza supporti, è la perfetta rappresentazione di un percorso a ostacoli in un mondo rivestito di tagliole; chi è bravo a schivarle può sperare in un successo, ma chi invece si lascia tagliare, ferire, deve imparare a camminare claudicante, celando il dolore dietro la falsificazione della realtà. E allora ecco i filtri, i video sui social con identità fittizie, e i sorrisi forzati. Tanto, noi giovani lo sappiamo: è meglio non aspettarci molto dalla fine del mondo.

Conclusioni

Do not expect too much from the end of the world è un film lungo; un film che condensa tanti generi, e innumerevoli registri cinematografici. Ciononostante, quello diretto da Radu Jade è un film che compie una magia più unica che rara: riesce a raccogliere nello spazio dei propri raccordi tutta l'esasperazione di giovani costretti a ore interminabili di lavoro, e una ricerca di evasione dalla realtà nello schermo di uno smartphone. Un mix esplosivo generante un ritratto della nostra quotidianità, dipinta con caustica e irresistibile ironia, abile nel coinvolgere il proprio pubblico fino a inserirsi nello strato più profondo della sua anima.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • La caustica ironia che avvolge l'opera.
  • La performance di Ilinca Manolache.
  • Il ritratto sarcastico, ma così dolorosamente reale della nostra quotidianità.
  • L'alternanza tra il bianco e nero dell'esistenza, e il colore abbacinante dei social.

Cosa non va

  • La lunghezza del film: sebbene del tutto sopportabile, può risultare eccessiva per una parte del pubblico generalista.
  • Alcuni inserti del film degli anni Ottanta potevano essere sacrificati.