Destinazione Paradise
Possibile che per il teutonico Uwe Boll la vita sia tutta un gioco? Forse no, più difficile negare che il suo cinema sia tutto o quasi un videogioco, poiché è da lì che una parte considerevole delle sue truculente pellicole trae ispirazione. Il cineasta tedesco, specializzato in horror, è arrivato a conquistarsi presso molti la fama di peggior regista del mondo, proprio per gli adattamenti cinematografici di videogames come House of the Dead e Alone in the Dark. Quasi un Ed Wood partorito dalla generazione di Pac-Man. È naturale, allora, che nei confronti dell'ennesimo film tratto da un videogame di successo, Postal, si potesse reagire con estremo sospetto. Ma alla prova del nove le pernacchie e gli sberleffi annunciati hanno lasciato il posto, come per magia, a crasse risate, applausi festosi e altri segni di complicità; almeno da parte di quegli spettatori, maggiormente inclini all'irriverenza o più semplicemente restii alla seriosità di molti cinefili, che hanno scelto di stare al (video)gioco. Già, perché in definitiva Postal non fa altro che rimasticare le cadute di gusto, la violenza gratuita, le scene pruriginose e la zoppicante costruzione narrativa delle precedenti, discutibilissime opere, assecondando però una voluttuosa e disinibita aspirazione alla farsa più sguaiata, espressa in modo finalmente consapevole.
Così come le stelle del basket NBA, alle Olimpiadi di Pechino, si sono raccolte nel tanto decantato "redemption team" per vendicare le disfatte sportive degli ultimi anni e tenere alti i colori dell'America, Uwe Boll si è inventato un percorso di redenzione che va proprio nella direzione contraria: girare un film completamente assurdo negli Stati Uniti, rendendoli oggetto di una satira feroce e volgare che ruota però a 360 gradi, colpendo di striscio le follie più vistose della contemporaneità. Rispetto ai connotati tetri del mondo post-11 settembre Uwe Boll ha perciò intrapreso, con accanimento degno di un mastino, la strada della dissacrazione totale. Questa sua personalissima redenzione ha inizio a Paradise. Paradise è l'immaginaria località americana dove convergono le demenziali imprese di una massa eterogenea di personaggi: terroristi talebani votati (con molte riserve) al martirio, poliziotti di colore dal grilletto facile, portatori di handicap sfruttati per le elemosine, santoni arrapati che per fare soldi scrivono bibbie da reality show, imprenditori di origine germanica con spiccate simpatie neo-naziste (da incorniciare, per inciso, il beffardo cameo del regista). I mentori di questa carnevalata dichiaratamente trash sono proprio loro, Bush e Osama, ritratti in scenette irresistibili come due amiconi sempre pronti a darsi una mano, magari progettando insieme qualche esplosione nucleare. Dal protagonista assoluto di tale delirio non ci si poteva certo aspettare il classico fusto hollywoodiano che sa sempre cosa fare. Ed infatti Postal Dude, quello che nel videogame sparava senza sosta sui passanti, ha la faccia da schiaffi di Zack Ward e veste i panni del classico "eroe per caso": un cittadino tartassato, scontento, frustrato, la cui specialità è risolvere suo malgrado qualche casino per cacciarsi immediatamente nel successivo, in un tripudio di mattanze, esplosioni, piani demenziali e inseguimenti ridicoli.
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