Derive metropolitane
Siamo a Tokyo, nel 2003. Mentre radio e televisioni iniziano a diffondere le notizie dell'imminente guerra in Iraq, in città scorre la vita di alcuni personaggi, che cogliamo nella loro quotidianità. Takeshi è un tassista single, solitario, che rifugge gli inviti alle uscite serali di un suo vicino di casa, e guida senza entusiasmo il suo taxi nelle strade cittadine. L'incontro con una strana cliente, che lo conduce nella sua abitazione, lo scuote dall'apatia e sembra rivelargli la possibilità di un modo di vivere diverso. Due ragazze adolescenti stanno per separarsi scegliendo scuole diverse, e mentre l'una sembra pronta ai cambiamenti che la crescita comporterà, l'altra è spaventata dalle novità che si prospettano, già provata dalla separazione dei genitori di cui si sente responsabile. Le due linee narrative si sfiorano appena, in una piovosa giornata cittadina come tante.
Nella sezione L'altro cinema - Extra di questa edizione della kermesse romana, si segnala questo Minus by Minus, bell'esordio del regista trentenne Hajime Izuki, che parla di solitudini metropolitane con uno sguardo scarnificato, privo di orpelli, quasi neorealista nella messa in scena. C'è in tutto il film una tensione sotterranea che racconta di una guerra assurda, lontana ma più vicina di quanto i protagonisti vorrebbero, e di tragedie personali più quotidiane, ma non per questo meno pregnanti. L'incontro di Takeshi con la simpatica e un po' stralunata cliente sembra suggerirgli una comunanza di esperienze e la possibilità di una simbiosi nuova, con un'anima che condivida il suo spaesamento nel flusso dell'esistenza cittadina; ma presto l'uomo dovrà rendersi conto che sotto la superficie c'è spesso una sofferenza solo intuibile, mai visibile del tutto. La stessa sofferenza che rende difficile la vita dell'adolescente che ha involontariamente provocato la separazione dei suoi genitori, incapace di accettare l'assenza di una madre presa dalla carriera, insofferente alla presenza di un padre che le appare inetto e incapace di decisioni proprie. Solo il rapporto con l'amica del cuore sembra un'ancora di salvezza in un progressivo dissolversi dei punti di riferimento, ma purtroppo anche questo sembra destinato ad esaurirsi. Su tutto, una città indifferente, che sembra fagocitare le energie migliori dei suoi abitanti. Quello della solitudine urbana è un tema da sempre molto battuto dal cinema nipponico, ma lo sguardo di Izuki ha una sensibilità quasi europea nel cogliere le inquietudini appena accennate dei suoi personaggi. La messa in scena scarna e minimalista ("tradita" solo, con un inserto un po' fuori tono, nel lungo sogno di Takeshi a casa della cliente) può forse trovare un corrispettivo asiatico solo nel recente The Way We Are di Ann Hui: lì le strade erano quelle di Hong Kong, ma simile è lo sguardo dolente, seppur trattenuto nell'espressione delle emozioni, su un tessuto cittadino a stento tenuto insieme da legami sempre più instabili e rarefatti. L'unica via d'uscita sembra essere urlare il proprio dolore in modi non convenzionali, ad esempio ubriacandosi in una strada deserta o salendo sopra una torre anche se non si ha nulla di concreto da rivendicare. O abbracciando una religione, nell'impossibile ricerca di una spiritualità già soffocata da molto tempo. La camera digitale di Izuki restituisce tutto questo senza retorica, ma con empatia e rispetto verso i suoi personaggi: dando inoltre molto spazio a una recitazione che diventa valore aggiunto del film, abilmente tenuta sotto controllo da una mano registica che sembra già molto sicura. E un briciolo di speranza, nel finale, sembra fare capolino nel vortice che rischia di inghiottire i personaggi e le loro energie migliori: forse tener vivi gli affetti può essere una strada per non andare alla deriva. Un modo, possibile, di (r)esistere.Movieplayer.it
4.0/5