Corridoi di paura
La giovane e timida Irene viene assunta come receptionist presso un austero, anonimo albergo che sorge da qualche parte, ai limiti di un bosco. Sostituisce la precedente impiegata - scomparsa in circostanze poco chiare - mentre la polizia svolge discrete indagini sul caso. Affrontando le difficoltà del nuovo lavoro, imparare a gestire i clienti dell'hotel, assecondare le volontà del direttore e della proprietaria, conquistare un posto e una posizione nel gruppo compatto degli altri impiegati, ritagliarsi un piccolo spazio di familiarità in un ambiente freddo e impersonale, Irene comincia a interessarsi alla sparizione. Viene a conoscenza di oscure e antiche leggende e incontra alcuni labili ma inquietanti indizi.
"Penso che la realtà si riveli sempre in modo parziale, frammentario e incerto, come un puzzle a cui manchino i pezzi chiave. Con Hotel vorrei trasmettere il concetto di una realtà incompleta, esaminando l'intangibile che percepiamo senza identificarlo." (J.Hauser)
Il minimalismo estremo della trama sottintende una ricchezza e una varietà di contenuti fuori dal comune, ingabbiati in una sorta di thriller metafisico a sua volta mascherato in una struttura da horror thriller. Irene vive in un mondo asettico, perfetto nel suo ordine, nel suo nitore e nella sua efficienza mortiferi. Un mondo capace tuttavia di convivere e di farsi suggestionare da antiche storie di streghe pur metabolizzate dalla banalizzazione, di essere segretamente animato da terrori irrazionali e atavici nascosti dalla convenienza e dalle convenzioni sociali. Un mondo che cerca di conoscere nelle sue pieghe più nascoste opponendogli una fredda ma consapevole partecipazione. Un atteggiamento disperatamente critico verso la realtà, la "sete di conoscenza che spinge l'individuo ad esplorare il lato più oscuro dell'esistenza pur non raggiungendo una comprensione intima".
Il dolore soffocato causato dalla malvagità, il dolore composto per la lontananza dai suoi cari, il distacco con cui immagina una storia d'amore con un enigmatico giovane, la fatica con cui intrattiene relazioni con i suoi colleghi. Non c'è leggerezza nella sua vita, se non nei piccoli marginali gesti di rivincita, di affermazione e di identità che relega nei momenti più insignificanti.
Jessica Hauser costruisce un film "filosofico" nel senso più autentico del termine, nelle sue qualità formali quanto nei contenuti. La "presenza" dell'ambiente, le pareti spoglie dell'albergo, i suoi colori evanescenti, la sua essenziale solitudine, le geometrie vuote dei lunghi corridoi, fanno da cassa di risonanza alle deboli emozioni dei protagonisti amplificandole. L'albergo stesso diventa un attore, un'indefinita metafora della mancanza di equilibrio e della casualità della vita. Privi di logica gli eventi si susseguono ritratti da una mano immobile e silenziosa, che sfrutta gli spazi e i silenzi come limiti a una naturale finalità drammatica.
Grande il cast tutto, grandiosa Franziska Weiss - nel ruolo della protagonista - nel dare corpo e fisicità a un personaggio quasi irreale. Tra inesorabili e secchi dialoghi e memorabili primi piani Hotel è un film che riesce ad essere coraggiosamente fuori dal comune non sovvertendo nessuna regola, non concedendosi nessuna facile stravaganza.
Un cinema impegnato, serio, per nulla accogliente, niente affatto "estivo", ma comunque un grande atto poetico, un'opera capace di durare nella memoria per giorni affiorando tra i pensieri e restituendo ogni volta un pezzetto diverso di sé.