Coppie improbabili, amori impossibili
La saggezza popolare dei proverbi che abbiamo imparato a conoscere grazie alle nostre nonne, quantunque spesso contraddittoria, può essere citata a laconico commento di quasi ogni accadimento dell'esistenza. In questo caso dall'archivio è certo il caso di estrarre il sempreverde "spesso la realtà supera l'immaginazione": se qualcuno si proponesse di girare un film sull'amore unilaterale di un eccentrico cinquantenne gay per un giovane pugile totalmente eterosessuale, ma che ciononostante ben tollera le attenzioni del corteggiatore, fino a sviluppare a sua volta un sentimento di stima e necessità dell'altro senza però mai lanciare segnali ambigui o ammiccanti, diremmo che questo qualcuno non sa più cosa inventarsi, che nella realtà nessun ragazzo si comporterebbe in modo così poco conveniente per la difesa della propria virilità, o meglio di quello che il machismo imperante ha designato oggi come virilità, e che nessuno stimato esperto d'arte, circondato da amici, amiche e adepti, si lascerebbe andare ad un'infatuazione così totale, tanto da fargli perdere il sonno e la ragione e a costringerlo a sotterfugi e batticuore da adolescenti. Eppure, la storia di Enzo (il mercante d'arte) e Fabio (l'ex militare e aspirante pugile) è vera, e non solo: l'Enzo e il Fabio del film sono gli stessi Enzo e Fabio della realtà, che reinterpretano sul grande schermo le tappe della loro relazione, fatta di incontro, convivenza e separazione.
E, restando in tema di coppie atipiche, i due finti poliziotti Osho e Carletto (stavolta del tutto frutto della fantasia del regista e sceneggiatore Francesco Suriano) non sono da meno: il primo autoproclamatosi guru e guida spirituale del gruppo, ma che senza consultare i Ching non riesce a prendere la minima decisione, il secondo costretto dalla propria vigliaccheria a rubacchiare la pensione alla madre malata, ma anche in grado di accorgersi dello squallore di una vita che si sostenta a furia di mazzette, frutto di un'autorità tanto più abusata perché fittizia. Le vicende delle due coppie si snodano lungo binari affiancati che, quantunque per quasi tutto il tempo della storia procedano paralleli, in qualche occasione riescono a intersecarsi, e a gettarsi vicendevolmente uno sguardo di sufficienza, in contrasto con gli affanni, le angosce, i processi sommari, le assoluzioni e le condanne sui quali ognuno dei protagonisti fonda la propria esistenza interiore. E visto che i moti dell'animo sono quantomai discontinui, il film si gioca in maniera funambolica su un fitto intreccio di piani temporali, spostandosi in avanti e all'indietro tra cause e conseguenze, premesse ed effetti, ma sempre intorno al nocciolo centrale di solitudine e incomprensione che intrappola gli abitanti di piazza Sforza Cesarini. Certo questa scelta è in grado di restituire la complessità, addirittura la difficoltà che ogni relazione comporta, a maggior ragione quelle che più stanno a cuore, ma rende anche la narrazione poco scorrevole, la sequenza degli eventi frustrante da ricostruire, tanto che l'attenzione dello spettatore è fortemente sviata dal fulcro emotivo della vicenda per la necessità di identificare i nessi logici. E questo è sicuramente un peccato, a maggior ragione perché costituisce l'unico vero, ma molto incisivo, difetto di una pellicola in cui l'impatto carismatico dei personaggi e l'estremo realismo e credibilità dell'ambientazione sono senz'altro meritevoli di plauso.Il pugile e la ballerina riesce nell'intento di descrivere la potenza di un desiderio, la necessità del compromesso, per quanto spregevole moralmente, il punto di rottura tra l'acquiescenza e la ribellione a se stessi, ma lo fa con un linguaggio difficilmente leggibile, in cui la sceneggiatura si aggroviglia, e l'empatia si edulcora in una confusione che non è quella, fisiologica, del sentimento, ma è quella che spiazza e che allontana.