Apre il Concorso Schattenwelt, in inglese Long Shadows, film tedesco che richiama per certi aspetti il più celebre La banda Baader Meinhof, presentato anch'esso al Festival di Roma ma nella sezione Anteprima.
Progetto simile perchè incentrato anch'esso sulla Raf, celebre gruppo terroristico che agì principalmente in Germania tra gli anni '60 e '70.
La prospettiva però, è diversa. La storia non c'entra come narrazione, come centralità di quel che accade sullo schermo; i contatti con il passato ci sono, certo, ma tutti filtrati dagli occhi del presente.
"Nove anni fa abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto. E' stato un caso che ho incontrato per strada un ex terrorista, ed ho iniziato ad interessarmi a questo tema - racconta la produttrice - _ E' un piccolo progetto, che affronta l'argomento in una maniera diversa da come è stato fatto finora. Al centro c'è la posizione della vittima, e questa prospettiva ha suscitato qualche dibattito e perplessità. Io a prescindere, sono orgogliosa di quanto abbiamo prodotto: Schattenwelt è un film molto personale ma che affronta un argomento grande"._
Interessante è il focalizzare l'attenzione sulla vittima, in un contesto, in questo molto simile a quello italiano, nel quale spesso e volentieri i terroristi diventano fenomeni mediatici.
"Quello che spesso si vede in Italia coincide con la situazione in Germania, ed è un dilemma che dobbiamo affrontare. L'effetto mediatico dei terroristi dura ancora oggi, e oscura spesso e volentieri il dramma e il lutto delle vittime. Questo aspetto è solo una parte del problema, ed è solo metà della verità".
Ma non vuole, d'altra parte, esserci nemmeno del facile compatimento: "La vittima non è semplicemente da compatire - continua la Walther - ma solitamente è una figura complessa, che prova in tutti i modi a risalire alla verità. Tante volte non la semplice consapevolezza di come sono andati i fatti, ma una verità più personale, più profonda". E se tutto il mondo è paese, la polemica sulla collaborazione di alcuni ex terroristi alla stesura della sceneggiatura ha investito le prime pagine dei giornali anche nel paese d'oltralpe: "Sì, una polemica c'è stata - ammette la regista - ma c'è stata anche una montatura da parte della stampa, che si chiedeva se un ex-terrorista ha il diritto di ricevere un compenso da parte dello stato. Io invece mi chiedo: una persona che ha scontato la propria pena deve avere delle limitazioni nel suo procurarsi da vivere? Ritengo che sia un po' una distorsione della libertà e della democrazia adottare questo punto di vista. Il film sulla Banda Baader Meinhof è una cronaca della storia di quegli anni, con tutte le polemiche che può portare questa scelta. Ma a noi non ci interessava questo aspetto. La domanda che ci poniamo è sulla realtà di oggi".
Curioso che due film molto simili vengano proiettati uno dopo l'altro nell'ambito dello stesso Festival. "Non direi 'simili'. Quel film ha un budget di venti volte superiore al nostro. Il fatto che entrambi siano presenti qui a Roma non dipende da noi, anche perchè in qualche modo sono agli antipodi, a partire dal target di riferimento; il nostro film non sarà destinato al grande pubblico, avrà un pubblico più autoriale". C'è anche spazio per una riflessione più generale sulle ultime tendenze di un cinema, come quello tedesco, che sembra essere rinato negli ultimi anni.
"C'è una sorta di liberazione di idee nel mondo del cinema tedesco, probabilmente anche perchè abbiamo più fondi, e ci stiamo liberando da un pò di clichè per raccontare storie più universali, più europee. Poi ci sono anche tante differenze, di budget e di prospettiva. C'è una grande apertura per quanto riguarda tematiche e problematiche. Negli ultimi anni il nostro cinema d'autore si è rafforzato. Il nostro è un film in qualche modo politico, d'autore quindi. Ovvio, la speranza è che il grande pubblico lo possa comunque seguire".