Cella 211, la recensione: un quadro abbozzato dei mali del Messico moderno

Il secondo adattamento omonimo del romanzo di Gandul è un prison drama dalla sviluppo precario perché distratto ad espandere le proprie ramificazioni fino ad una dimensione da intrigo (inter)nazionale. Su Netflix.

Diego Calva in Cella 211.

Il 1 gennaio 2023 è stato uno dei primi dell'anno più traumatici della Storia recente del Messico. Esso è stato infatti il giorno di una terribile rivolta carceraria. Per la precisione di una terribile rivolta avvenuta nel Centro di reintegrazione sociale degli adulti 3 di Ciudad Juárez, Chihuahua.

Cella 211 Netflix
Diego Calva in una scena di Cella 211.

Evento che è entrato di prepotenza all'interno dell'immaginario del Paese sudamericano, tanto da aver ispirato il romanzo Cella 211 di Francisco Pérez Gandul, a sua volta adattato nel celebrato film del 2009 firmato da Daniel Monzón e nella serie Netflix di cui stiamo per parlare, scritta e diretta dalla coppia Gerardo Naranjo e Jaime Reynoso. Entrambi omonime.

I motivi di tale impatto, probabilmente, non sono solo da ricercare nella violenza della ribellione (che ha comunque portato a 17 morti), ma nei motivi legati all'insostenibilità delle condizioni di detenzione, ai sospetti di collusione scaturiti dal coinvolgimento di personale armato e alla natura recidiva di casi del genere, segnale della loro drammatica cronicità. Soprattutto su questi echi punta l'adattamento del colosso dello streaming, finendo però con il tralasciare il modo di farli respirare attraverso la storia che racconta.

L'inquilino della Cella 211

Cella 211 Protagonista
L'avvocato Juan non se la passava poi tanto male.

Juan (Diego Calva) è un avvocato per i diritti umani che non se la passa per niente male: ha una bella casa, un ottimo guardaroba e soprattutto è sposato con la meravigliosa Helena (Ana Sofia Gatica), incinta del loro primo figlio. Una situazione invidiabile che però non basta a fargli ascoltare le raccomandazioni di chi lo ama quando gli chiede di evitare di correre i rischi più consistenti del suo lavoro, come quello di andare di persona in una delle carceri più pericolose e sovraffollate del Messico (maledetti ideali).

Il 31 dicembre del 2022 il nostro, durante un colloquio con un suo assistito, rimane, fatalità, coinvolto in una ribellione di massa, guidata dal carismatico Calancho (Noé Hernández), leader di una delle due bande che occupano la prigione. Lo scopo dell'uomo è quello di rapire il detenuto più in vista, tesoriere del più importante cartello della Divisione nord del Paese, un tale Baldor dai capelli tinti, e chiuderlo, appunto, nella cella 211. Questo per avere una leva su coloro che lo hanno comandato usando le false promesse di occuparsi della sua gente, che invece è sempre più abbandonata a delle condizioni di detenzione insostenibili.

Cella 211 Scena
Il carismatico e socievole Calancho.

Un intrigo (inter) nazionale dal respiro ampissimo e sconvolgente per una nazione intera, nel quale si ritroverà ad avere un ruolo fondamentale anche l'avvocato Juan. Il quale dovrà lottare per la sua sopravvivenza non solo con unghie, denti e un pizzico di ingegno, ma anche accettando il fatto di dover ridiscutere tutto ciò in cui ha sempre creduto, con la consapevolezza di non poter più tornare alla sua vita precedente.

Una formula precaria

Cella 211 Personaggio
Il macguffin chiuso nella Cella 211.

L'idea di Cella 211 è quella di raccontare una storia piccola, ingrandendone costantemente l'eco, anche a costo di mortificarne i passaggi che la renderebbero più solida e significativa. Attraverso la trovata dell'origin story dell'antieroe, la serie si concentra sul narrare la crisi d'identità di un protagonista simbolo di un Paese intero, pronto a svendere i diritti e le tradizioni degli autoctoni al miglior offerente (che sia interno o esterno), perché ostaggio di trafficanti e terroristi. Non proprio, insomma, una carezza al Messico attuale.

Consegnando la struttura narrativa agli stilemi più classici (per non dire banali) del prison drama, la serie dà l'impressione di puntare sin da subito tutta la sua forza sulla costruzione di ramificazioni tematiche e drammaturgiche provenienti dal nucleo di partenza, cercando il prima possibile l'approdo ad un altro livello, più vicino al thriller politico internazionale. Di fatto tutto il piano del rapimento di Baldor, motivo della rivolta, è solamente un grande macguffin, tanto da non essere neanche portato a compimento. Esso, così come le tante ellissi abbozzate per approfondire dei personaggi che avrebbero meritato sicuramente miglior sorte.

Cella 211 Serie Tv
Diego Calva che guarda negli occhi il suo destino.

I problemi di Cella 211 sono per la maggior parte relativi alle sue scelte narrative, che da una parte rimandano costantemente ad altro, sacrificando l'efficacia di uno sviluppo di trama giustapposto nel migliore dei casi, contro-intuitivo o non credibile nei peggiori, e dall'altra insistono su un ritmo da fiato corto, sinonimo di un intrattenimento disinteressato. Forse ci sono stai problemi produttivi (6 puntate sono forse poche) oppure ci si può affidare al solito sospetto riguardo i veti posti dall'algoritmo pensiero. Fatto sta che si è deciso di fare un quadro standard con giusto un paio di pennellate per caratterizzarlo, quando c'era materiale a sufficienza per fare qualcosa di molto più colorato.

Conclusioni

Su Netflix c'è il ritorno in pompa magna del prison drama con il secondo adattamento di Cella 211, tratto dal libro omonimo di Francisco Pérez Gandul. Una serie che punta tutto sulle potenzialità tematiche della storia che racconta, finendo però con il tralasciarne la costruzione e lo sviluppo. La sua è una formula spuria, che rischia di mortificare più volte le ambizioni dei suoi creatori. Peccato perché il potenziale è molto e la strada ideativa non era fuori fuoco.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • L'ampio sottotesto tematico.
  • Le connessioni con il Messico attuale.

Cosa non va

  • La costruzione abbozzata della storia.
  • Le ellissi incompiute per lo sviluppo dei personaggi.
  • L'inspiegabile ossessione per un ritmo dal fiato corto.