Recensione Home Sweet Home (2005)

Un film che quindi si muove sul confine tra thriller e horror, attento a bilanciare le atmosfere e tecnicamente di buona fattura: la regia offre gli spaventi che ci si può aspettare nella prima parte, e tiene la tensione alta nella seconda.

Brividi casalinghi

La famiglia Cheng si è appena trasferita in un nuovo appartamento, quando strani eventi iniziano a manifestarsi: un'entità dall'aspetto orribile sembra aggirarsi per lo stabile, servendosi delle condutture dell'aria per spostarsi. Quando la creatura rapisce il figlio dei Cheng, il piccolo Chi-lo, e ferisce gravemente suo padre, inizia per May Cheng una lotta disperata per salvare il bambino, trovando anche l'ostracismo della polizia che non vuole crederle.

E' sicuramente un'incursione in un tipo di horror più di consumo, questo Home Sweet Home, nuovo lavoro di quel Cheang Pou-Soi che ha diretto film belli e personali come New Blood e Horror Hotline... Big Head Monster. Un film che sfrutta l'onda lunga della "ringumania" sostituendo alla figura del fantasma una creatura in carne ed ossa, per quanto ugualmente inafferrabile e mossa da motivazioni simili. Sulla carta un ennesimo prodotto derivativo, quindi, che però abbandona l'estetica horror nella seconda parte, dando vita a una tesa atmosfera fatta di inseguimenti negli spazi angusti dell'edificio e di confronto psicologico tra la donna (una brava Shu Qi) e lo scettico poliziotto (un altrettanto convincente Lam Suet).

Un film che quindi si muove sul confine tra thriller e horror, attento a bilanciare le atmosfere e tecnicamente di buona fattura: la regia offre gli spaventi che ci si può aspettare nella prima parte, e tiene la tensione alta nella seconda, dando anche notevole risalto alle motivazioni del "mostro" (una Karena Lam quasi irriconoscibile). La componente melò emerge prepotentemente man mano che il mistero si dipana e il film si avvia verso la sua conclusione, facendo rilevare evidenti similitudini con il Dark Water di Hideo Nakata (modello comunque lontanissimo per rigore ed equilibrio narrativo).

Un prodotto, quindi, in cui il regista mette da parte le sue sperimentazioni per dedicarsi a una concezione più classica del cinema di genere, che tuttavia non si adagia su stereotipi horror che ormai hanno mostrato la corda: probabilmente non un caposaldo della paura cinematografica, ma un film che regala esattamente i brividi e l'intrattenimento che aveva promesso.

Movieplayer.it

3.0/5