L'Hybris, nella cultura della Grecia antica, è la tracotanza dell'uomo verso gli dei, l'orgoglio smodato che lo spinge a sfidare l'ira divina sopravvalutando le proprie forze. Attorno a questo peccato Denis Côté costruisce il suo nuovo lavoro, Boris without Béatrice. L'ultima pellicola dell'autore canadese spiazzerà gli spettatori che conoscono il suo percorso artistico precedente.
Negli anni, Côté ci ha abituato a opere ermetiche, enigmatiche, pervase da uno humor cerebrale e sottilmente stranianti. Elementi ricorrenti che sono parte integrante anche di quest'ultima opera la quale, però, a differenza dei lavori precedenti, sceglie di veicolare un unico concetto ricorrendo a tutte le armi della retorica.
Se l'hybris può essere considerata una malattia, Boris Malinosky ne presenta tutti i sintomi. Imprenditore di successo, uomo arrogante e altezzoso, marito fedifrago, padre assente, figlio distratto, Boris viene "punito" per le sue numerose colpe quando una misteriosa malattia colpisce la moglie Beatrice. La donna, ex ministro del governo canadese, è affetta da una grave forma di depressione che la costringe a ritirarsi in una casa nel bel mezzo della campagna quebecchese assistita da una giovane dama di compagnia di origine russa. Boris si barcamena tra l'assistenza alla moglie e le liti con la figlia ribelle finché non riceve il messaggio di un misterioso uomo che gli propone un incontro nel cuore della notte.
Denis Cote si confronta col senso di colpa
La componente surrealista, in passato, ha fatto spesso capolino nel cinema di Denis Côté trovando terreno fertile nel caustico Vic and Flo Saw a Bear, ma stavolta il regista si spinge oltre imboccando la strada dell'allegoria. Lo sconosciuto che turba i sonni di Boris, e che sembra sapere tutto della sua esistenza, altri non è che una proiezione della sua coscienza turbata. A interpretarlo è un attore dall'aspetto sui generis come il veterano Denis Lavant. La presenza di una metafora così "facile" non sembra preoccupare Denis Côté. Il regista, noto per le scelte originali e spiazzanti, ma anche per la cripticità di certe sue pellicole, sembra spinto da un'urgenza interiore alla chiarezza. A conti fatti, Boris without Beatrice altro non è se non un cammino dal peccato verso la redenzione, e poco importa che le tappe che lo scandiscono siano raccontate in forma di thriller postmoderno.
All'enigmaticità di Vic and Flo Saw a Bear o al senso di smarrimento che accompagnava il bellissimo Curling si affianca ora una componente retorica. La negatività del personaggio di Boris viene ribadita a più riprese dal suo comportamento sul lavoro, nella comunità, nel quotidiano e l'ammonimento dello sconosciuto che irrompe nella sua vita è chiaro e netto. Per riavere la moglie Boris dovrà prendere una posizione, guardarsi allo specchio e scegliere se stare dalla parte del bene o del male. All'ammissione della colpa, segue poi la fase della catarsi e non è casuale il siparietto dei due coinquilini gay della figlia di Boris che (guarda caso) provano una tragedia greca in casa con tanto di trucco e costume di scena.
Guardarsi dentro
A interpretare Boris Malinovsky è James Hyndman, attore di origine tedesca di grande magnetismo. Per sottolineare come sia lui il vero fulcro del film, Côté lo pone in tutte le sequenze. Il suo obiettivo ne sottolinea la fisicità imponente mostrandocelo elegantissimo in abiti da lavoro, in tenuta sportiva, intento a fare sesso, a correre, a nuotare, a guidare auto da corsa. La sua presenza in scena è costante, il suo è il punto di vista privilegiato attraverso cui la vicenda viene narrata. Boris è circondato da donne. Non solo la moglie sofferente Beatrice, ma anche l'amante Helga, interpretata dalla sensuale Dounia Sichov, la timida Klara, oltre alla madre e alla figlia dell'uomo, vanno a comporre un gineceo che risucchia Boris in una spirale fatale. In fin dei conti le figure femminili in questione non sono altro che emanazioni dei vari aspetti della sfaccettata personalità di Boris.
Con Boris without Béatrice, Denis Côté ci regala il suo film più personale, imperfetto e vitale. A 42 anni, il regista canadese sente il bisogno di fare un bilancio della vita personale e professionale trasfigurandolo nell'arte. Dopo tante opere cerebrali dalla precisione millimetrica, il regista decide di prendersi dei rischi nel tentativo di sondare nuove vie da intraprendere e lo fa con coraggio e un pizzico di incoscienza. In questa direzione va anche il divertente cameo di Bruce La Bruce, regista scandaloso e provocatorio e attore dilettante che compare nel ruolo di Primo Ministro del Canada. Pur realizzando il suo film meno oscuro, Cote non ha perso la voglia di spiazzare con scelte controcorrente.
Movieplayer.it
3.5/5