La 68° Berlinale si conclude, a sorpresa, con la duplice vittoria del rumeno Touch Me Not, incoronato da ben due giurie. Oltre a vincere l'Orso d'oro, il film conquista il premio per la miglior opera prima.
Il gioiellino di Wes Anderson L'isola dei cani non torna a casa a mani vuote visto che conquista il premio per la miglior regia. Ignorate le due pellicole tedesche in concorso, Transit e My Brother's Name is Robert and He is an Idiot, a convincere la giuria capitanata daTom Tykwer è invece un'opera piccola, ma intensa come The Heiresses, proveniente da una filmografia poco conosciuta e distribuita come quella paraguayana, che si porta a casa il premio per la miglior attrice e l'Alfred Bauer Prize per il film che apre nuovi orizzonti. Tanto Sud America nel palmares, visto che anche il messicano Museum conquista un premio importante come quello per la miglior sceneggiatura.
Elena Okopnaya, Orso d'argento per scenografia e costumi di Dovlatov, coglie l'occasione per togliersi una sassolino dalla scarpa e spiega: "Quando frequentavo la scuola d'arte un'insegnante mi ha detto che il mio approccio era sbagliato. Pensavo che quella fosse la fine della mia carriera, ma poi ho conosciuto mio marito che mi ha ridato fiducia nella vita e non posso che ringraziarlo. Credo che questo premio aiuterà il film a farsi conoscere. Per noi è stata una sfida realizzarla perché ricostruire un'epoca di cui ci sono rimaste poche tracce è stato arduo. Abbiamo cercato di essere il più autentici possibile. Tutto quello che vedete nel film è stato creato con l'aiuto di disegni e bozzetti".
Alonso Ruizpalacios, regista e co-sceneggiatore di Museum con Manuel Alcalá, ricorda il terremoto in Messico del 1995 dedicando il film al popolo messicano, capace di risollevarsi da una situazione drammatica senza l'aiuto del governo. "Qui abbiamo avuto un'accoglienza meravigliosa. Ero terrorizzato, ma il pubblico ha capito il mio film. Sentivamo la responsabilità di portare la cultura messicana nel mondo. Non pensavamo di portare a casa nessun premio, soprattutto per la sceneggiatura che è un lavoro invisibile".
Emozionato, Anthony Bajon si presenta stringendo in mano il suo Orso d'argento per la miglior interpretazione maschile e sorridendo forzatamente di fronte ai fotografi. "Ho pregato molto affinché The Prayer vincesse qualcosa, ma non credevo che avrebbero premiato me. Qui mi sono sentito come un bambino, non riuscito a controllare l'emozione. Durante le riprese non avevo libertà, ho dovuto seguire rigidamente le istruzioni di Cédric Kahn. I tossicodipendenti sono persone che soffrono, spero che questo film possa avere un'influenza per aiutare a risolvere un fenomeno globale. Occorre mostrare ai drogati che esiste una via d'uscita".
Tocca poi ad Ana Brun, miglior attrice per The Heiresses di Marcelo Martinessi. "Dedico il premio alle donne del mio paese che sono delle lottatrici" esordisce la Brun. "Qui a Berlino ho vissuto un'esperienza bellissima. Ho creato il mio personaggio in parte su mia nonna, ricordo che quando ero una ragazzina le donne non potevano parlare di politica, di sesso, di uomini. La vita si svolgeva segretamente. Nella mia vita ho cambiato tante volte e quando Marcelo mi ha invitato a fare il film ero sorpresa. Perché proprio io?". Il regista aggiunge: "Sentivamo il bisogno di fare questo film per fare sentire la nostra voce. Sono felice che i nostri premi aprano delle prospettive. Il mio film non parla solo di diversità sessuale, ma dà alle donne un ruolo chiave".
Assente Wes Anderson, è il mattatore Bill Murray a fare capolino per poi concedersi alla stampa dopo aver messo il suo cappello di lana in testa all'Orso d'argento. "In questi giorni abbiamo girato Germania e Italia, poi ho deciso di tornare qui per ritirare questo premio. Wes è un grande storyteller e ama i cani. Il tempo impiegato per fare questo film è tantissimo, il nostro è un tributo al cinema giapponese e tutti noi siamo stati felici di collaborare a questo film. Non abbiamo solo lavorato, abbiamo vissuto insieme. Abbiamo registrato le voci in una fattoria, in mezzo alla natura, tra gli alberi. E' stato molto divertente non lavorare solo in studio".
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Dopo aver conquistato il Gran Premio della Giuria, la polacca Malgorzata Szumowska, regista di Mug, confessa: "La Berlinale mi ha creato come regista, mi ha dato la visibilità internazionale, ha supportato il mio lavoro e mi ha aperto la porta verso il mondo. Il mio film è una favola, ma affonda le radici nella realtà, è una metafora della situazione politica in Polonia, dei problemi con la Chiesa Cattolica, ma è anche un film sull'amore. E' ironico, ma anche tenero. io sono una fan dell'hip, ma nel film ho usato i Metallica perché nel mio paese il metal è molto popolare. Non avevamo i diritti, ma i Metallica sono stati davvero carini e hanno chiesto pochissimi soldi per usare la loro musica. Sono felice che tante donne vincano premi principali, credo che questi cambiamenti garantiranno un futuro migliore a mia figlia e alle nuove generazioni".
Tocca infine alla rumena Adina Pintilie, regista di Touch me Not: "Il film è un invito al dialogo, mette lo spettatore davanti allo specchio spingendolo a riconsiderare i concetti di bellezza e intimità. non vedevo l'ora di conoscere le reazioni della stampa. Il film ha diviso, ogni persona viene toccata in modo diverso, non è un lavoro comodo e confortevole, ma sfida il pubblico. Invita all'empatia, cosa importante in un momento in cui il mondo è pieno di conflitti. Il film è un lavoro d'amore durato 7 anni, la sceneggiatura è stata un punto di partenza, poi ci sono stati due anni di casting, ma in realtà si è trattata di una ricerca di persone che accettassero di seguirmi in questa follia. I miei attori sono stati incredibilmente coraggiosi ad accettare questi rischi".