Recensione Giù al nord (2008)

L'entusiasmo eccessivo del film in patria non è giustificato oltre i confini francesi e a fronte di macchiette e caricature, anche le emozioni restano deboli, nonostante un piacevole intrattenimento che rende comunque il film ampiamente apprezzabile.

Benvenuto, fratello!

Tutto il mondo è paese, talvolta al rovescio. I nostri cugini transalpini vivono come noi una antica contrapposizione tra Nord e Sud, dai contorni leggermente più deformati rispetto a quella che divide la nostra penisola. Sebbene anche nelle convinzioni meridionali il tempo e il carattere della gente del settentrione siano grigi, cupi e minaccino sempre tempesta, l'abbondanza e il benessere in Francia sembra si trovino tutti nei paesi del profondo Sud. Dany Boon, di professione attore ma qui al suo secondo lungometraggio da regista, s'inventa una commedia sui surreali luoghi comuni che hanno spaccato in due zone distinte il paese e ottiene un clamoroso successo non preventivato: il film è stato infatti visto da venti milioni di connazionali che l'hanno portato a un passo dall'affondare Titanic, ancora detentore del record d'incassi al box office nazionale. La storia è quella di Philippe Abrams, direttore di un ufficio postale sposato con la depressa Julie, che sogna il trasferimento in Costa Azzurra, ma per aver tentato di ingannare la direzione verrà spedito nell'infernale (almeno nel suo immaginario) città di Bergues, nel Nord del paese.

Non ci vuole molto a capire in che modo si svolgeranno gli eventi, quali pieghe prenderà la storia e le corde dei sentimenti che andranno a toccare. Ci si ritrova ben presto, quindi, di fronte al progressivo svelarsi dello 'straniero', che ovviamente è meno spaventoso di quanto si pensi e anzi vibra di uno spirito solidale difficilmente ritrovabile altrove. Ometti buffi si susseguono sullo schermo, ai quali il regista guarda con grande tenerezza e le situazioni minime, tipiche dei piccoli paesi ancora stretti nelle proprie tradizioni, offrono quadretti di rara intimità, che rivelano al protagonista una realtà di purezza illuminante dalla quale si lascia abbracciare con piacere. Nel film si cita un proverbio che porta chi arriva da quelle parti a piangere due volte: quando si arriva e quando si riparte. Lacrime che è destinato a versare anche Philippe, che parte per il Nord sotto un diluvio universale, per poi scoprire che la vita è davvero altrove come si pensa, in quei luoghi che non penseremmo mai appartenerci.

Giù al nord procede per personaggi caricaturali, puntando molto sul dialetto di quelle zone 'inavvicinabili' che naturalmente non può trovare un'adeguata traduzione nella nostra lingua. Si è deciso perciò, in fase di adattamento, di puntare su un doppiaggio modellato su un italiano inventato e storpiato che non può essere in alcun modo paragonato al dialetto Ch'tis e che finisce col rendere la tenera commedia di Boon decisamente più ridicola di quanto sia in realtà. E siccome il film, nella miglior tradizione del cinema francese, è pericolosamente logorroico, si capisce subito che una visione in sala del film tradotto non può che essere penalizzante per un'opera che si lascia apprezzare per la semplicità della narrazione, per l'umorismo da slapstick comedy che sostiene i personaggi e per la solita eleganza che contraddistingue anche le commedie francesi più popolari. L'entusiasmo eccessivo in patria non è però giustificato oltre i confini francesi e a fronte di macchiette e caricature, anche le emozioni restano deboli, nonostante un piacevole intrattenimento che rende comunque il film ampiamente apprezzabile.