Bangkok Breaking, la recensione: quando il soccorso è criminale

La recensione di Bangkok Breaking, la serie thailandese disponibile su Netflix che racconta le lotte di potere tra associazioni di volontariato.

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Bangkok Breaking: una scena tratta dalla serie Netflix

Il bello delle piattaforme streaming è quello di mettere a disposizione un catalogo ampio e vasto, che comprende anche alcuni titoli, magari sconosciuti, appartenenti a cinematografie e Paesi distanti dal nostro, che meriterebbero di essere scoperti. Come avremo modo di approfondire nella nostra recensione di Bangkok Breaking, la serie Netflix thailandese, però, non rientra in questo piacere. Appartenente a un modello di narrazione che non può risultare coinvolgente, Bangkok Breaking si trascina stancamente per sei estenuanti episodi da un'ora l'uno, nella speranza di piacere allo spettatore che si ritroverà ad assistere ad uno spettacolo non solo non molto curato dal punto di vista visivo, ma anche ricco di personaggi non caratterizzati al meglio e un soggetto che non si dimostra particolarmente originale.

Fino a Bangkok, cercando te

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Bangkok Breaking: una scena della serie Netflix

"Stiamo per arrivare a Bangkok": è la prima battuta con cui si apre la serie, pronunciata dall'altoparlante del treno dove si trova il protagonista Wanchai. Il nostro ha lasciato i suoi genitori nella cittadina di periferia per incontrarsi, dopo lungo tempo, col fratello Jo. L'ingresso nella città, sia per Wanchai che per lo spettatore che sarà costretto ad abbracciare il suo punto di vista, sarà però traumatico e sorprendente: appena sceso dal treno, Wanchai assisterà a un incidente automobilistico, che causerà feriti e morti, tra cui il fratello Jo, al volante dell'auto sportiva. La vita di Wanchai si incrocerà, grazie all'incidente, con quella della reporter Kat e del soccorritore Theep, membro di una delle tante associazioni di volontariato di soccorso della città che, però, nascondono una doppia funzione. Salvano le vite di facciata, ma in realtà usano questi eventi catastrofici per poter trafficare droga e farsi una guerra di concorrenza. Da una parte troviamo la Fondazione Ruampalangjai, dall'altra la Fondazione Wattanakarn. In mezzo, la più piccola, umile e anche più pura, la Jaitham, dove Wanchai troverà asilo. Ma il nostro farà anche la conoscenza del criminale Hardcore, un pericoloso boss sopra le righe. Ed è proprio in questa storia di intrighi e lotte al potere che Wanchai si ritroverà invischiato, tra volontari che in realtà sono criminali, ed ereditando debiti e vita del fratello defunto. Intento a scoprire la verità, Wanchai, con l'aiuto di Kat, tenterà di smascherare l'operato criminale che ammorba e controlla le strade di Bangkok.

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Maschere e stereotipi

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Bangkok Breaking: una foto della serie Netflix

Non si può dire che Bangkok Breaking non tenti di essere avvincente. Nonostante un ritmo particolarmente rilassato, la serie sviluppa la propria storia prendendosi il tempo necessario nei primi episodi, per poi mutare pelle all'occorrenza. A volte si punta sull'azione e sulla velocità, a volte si dedica del tempo alle operazioni di soccorso da parte delle associazioni, a volte, invece, ci si sofferma su una dimensione più legata al gangster movie composto da sicari, violenza e conti in sospeso. Quasi a non voler annoiare mai e cercando in più momenti lo shock visivo, la serie muta ponendosi a metà tra il racconto di genere e una dimensione più morale e seria. Una mancanza di equilibrio che si ripercuote anche nella caratterizzazione dei personaggi. Più stereotipi che identità, i componenti del cast si riferiscono a ruoli da impersonare: il protagonista buono, il cattivo pazzo, il burattinaio intellettuale e ricco che rimane dietro le quinte, il mentore povero, ma valoroso, la giornalista un po' comica e un po' coraggiosa, e così via. Si tratta di una caratterizzazione che sembra appartenere a un modello televisivo quasi preistorico, lontano da ciò che la storia della serialità ha rinnovato nel corso di questi ultimi anni. A questo si unisce un'esagerazione nei toni e nella recitazione che può risultare stucchevole e troppo ostentata.

Rompere il coinvolgimento

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Bangkok Breaking: una foto di scena della serie Netflix

Si potrebbe pensare che Bangkok Breaking, carente dal punto di vista della scrittura, possa supportare un coinvolgimento emotivo grazie al lato visivo, ma anche in questo caso la regia di Kongkiat Khomsiri non spicca durante la visione. Al netto di qualche sequenza più spettacolare e riuscita, la serie non riesce a lasciare traccia nella mente dello spettatore. Utilizzando spesso e volentieri degli effetti digitali non perfettamente inseriti nel contesto, che donano un senso di artificiosità a ciò che stiamo vedendo (basti vedere l'incidente automobilistico iniziale) sfociando spesso e volentieri nel trash e nell'estetica kitsch. Insistendo molto nei momenti sulla carta più emotivi, con l'aggiunta di una colonna sonora ben presente, la serie tenta in tutti i modi di coinvolgere lo spettatore, cercando di donare una profondità urlata e ostentata a una storia che non ce l'ha. Rimangono brevi momenti in cui si nota una cura estetica e un'idea visiva forte (è il caso della sequenza finale del quinto episodio), ma è davvero troppo poco per catturare lo spettatore e costruire un legame con quanto sta accadendo sullo schermo.

Conclusioni

A conclusione della nostra recensione di Bangkok Breaking non possiamo ritenerci soddisfatti di questa serie thailandese in sei episodi. A cavallo tra crime, dramma e racconto morale, mettendo in scena personaggi stereotipati e a tratti esagerati, la serie non riesce a coinvolgere a dovere lo spettatore, anche a causa di un’estetica non particolarmente ispirata ed effetti digitali non inseriti perfettamente. Al netto di alcune sequenze che funzionano, Bangkok Breaking si dimostra un prodotto di catalogo su Netflix che fatica a supportare il proprio pubblico internazionale.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Alcuni momenti mostrano una cura maggiore nella messa in scena.

Cosa non va

  • La storia non riesce ad essere coinvolgente nonostante il tentativo continuo di donare profondità.
  • I personaggi sono sin troppo stereotipati e monodimensionali, a tratti esagerati.
  • Gli effetti digitali donano alle sequenze un’estetica trash molto artificiosa.