Autorialità e nudità: un mix poco convincente
Il film di Bertrand Blier, celebre autore di film "di genere" in Francia, si innesta su un duplice binario nello svolgimento visivo-narrativo, e dunque si presta a più risvolti nella lettura del suo concreto dipanarsi sullo schermo.
Il primo, innegabile anche perché pienamente nelle corde di un regista come Blier, è quello di una sofisticata ricerca visiva, che si presta volentieri ad una sperimentazione nella costruzione dell'immagine e nella disposizione della scena, e degli elementi diegetici su di essa.
Il secondo, anche nel dar credito al regista quando sostiene di aver scritto tutto il film per la sua protagonista, ammaliato da quel Irreversibile che al momento dell'uscita suscitò non poco stupore (e che detiene ancor oggi il primato dei biglietti "singoli" venduti in sala), è l'ossessiva esplorazione ed esibizione del corpo di una particolarmente procace (era in fase di allattamento) Monica Bellucci, che arriva ad osare non poco in scena per il suo regista, arrivando a catalizzare tutta l'attenzione della pellicola sulla sua fisicità, e a partire da essa per imprimere le vere e proprie svolte narrative della pellicola. Il ruolo stesso, d'altronde, è strutturato e funzionale ad una certa libertà di costumi nel quale la Bellucci si muove da padrona e con una libertà assolutamente ammirabile.
Diverse le ottiche dunque con le quali poter approcciarsi al film.
Secondo la prima, dunque, ci troviamo di fronte ad un film che è tutt'altro che la solita commedia amara alla francese, almeno nella sua impostazione e struttura visiva. Blier gestisce i suoi personaggi (dunque i suoi attori) come se si trovassero su un palcoscenico. La stessa messa in scena risponde a queste esigenze. Le scenografie, e le inquadrature tendono a sottolinearlo, valorizzando una schematizzazione dello spazio e tendendo a valorizzare l'ambiente in quanto coerente estremizzazione dei caratteri dei personaggi. Unica concessione a questo "appiattimento" funzionale alle esigenze del regista, e il tentativo di profondità di campo nelle immagini in prospettiva di una stanza da letto che vive separata dal resto dell'ambiente casalingo del protagonista. Tentativo che parte non da un'esigenza etica, ma puramente di costruzione spaziale dell'ambiente, venendo infatti volutamente sminuito dalla "trasparenza" delle strutture divisorie della casa stessa. Anche lo stesso tenore recitativo, ricavabile da una precisa indicazione di direzione attoriale, che si adatta a quel che è poi la cifra dello script, tende ad enfatizzare i comportamenti "caratteristici" dei singoli personaggi, le loro manie e i loro clichè ricorrenti, utilizzando i ruoli secondari come veri e propri elementi descrittivi dell'ambiente. Assolutamente conforme a questo tenore è anche la gestione della fotografia, che ricalca la consuetudine da palcoscenico di evidenziare con improvvisi fasci di luce (coadiuvati, grazie all'esser cinema del film, da repentini stacchi di montaggio e di filtro davanti all'occhio della telecamera) il cuore della scena, o che è tesa ad evidenziare cromaticamente il cuore della scena o della sequenza.
Impostazione questa che, soprattutto se unita a una sceneggiatura non particolarmente incisiva e troppo in contraddizione nella sua vocazione di ricerca di verosimiglianza con gli aspetti più teatrali del film, che finiscono per risultare grotteschi, non convince del tutto, alternando (brevi) momenti di brio e mordacia a pause e sequenze che stemperano del tutto qualsiasi tensione narrativa, confinando spesso con i limiti del ridicolo.
Altro aspetto profondamente influente nella dinamica interna del film è la presenza di Monica Bellucci sullo schermo. L'attrice italiana, ormai a suo agio nelle dinamiche, non sempre immediate e intuitive del cinema francese, ha il merito (o il demerito, a seconda dei punti di vista) di riempire lo schermo con la sua presenza e il suo charme. La sua prova d'attrice si fonda appunto su questa capacità di sostenere a lungo la scena da sola, anche in condizioni di oggettiva difficoltà per un'attrice quali sono quelle di una prolungata nudità di fronte all'occhio meccanico. Una solo discreta prova attoriale (considerato anche il fatto che l'attrice non si doppia nella versione italiana) viene compensata da un'esplosività nell'attrarre su di se tutti gli elementi scenici, che viene a sua volta favorita anche dall'impostazione "bidimensionale" della messa in scena. Il film non può prescindere dunque dal passare per una prepotente ma ben gestita fisicità delle sua protagonista, che ne stempera parzialmente quegli elementi di ricerca autoriale che in larga parte lo connotano.
Un film che funziona poco e che (ci azzardiamo a fare una previsione) viaggerà sull'inerzia della promessa dell'esibizione fisica delle forme della sua protagonista (promessa in larga parte mantenuta) e poco più, ma che, d'altra parte, stancherà non poco per il suo tentativo un po' forzato e manierista di ricerca d'autorialità.