Una riflessione interessante sull'architettura e sulla valenza che ha per noi come specie in evoluzione. Questo è Architecton, il nuovo documentario di Victor Kossakovsky presentato alla Festa del Cinema di Roma. Il lungometraggio si colloca a conclusione di una trilogia, nominata dallo stesso regista trilogia "A", composta per prima da Vivan las Antipodas! e Aquarela, tre film, incluso quest'ultimo, che mirano a cambiare la visione del mondo, ripensando al posto che occupiamo in esso e alle responsabilità, morali e intellettuali che ne derivano.
Oltre che per le opere già citate il cineasta russo è noto anche per un documentario tanto bello quanto straziante, Gunda, presentato al Festival di Berlino, e che ribadiva con forza quel filo conduttore esistenzialista e profondamente ambientalista che permea ogni suo lavoro. Una critica ad una società capitalista che sostenibile non lo è stata mai, ma che ora più di prima è deleteria per la nostra sopravvivenza.
Di cosa parla Architechton
Il documentario utilizza principalmente le immagini per comunicare: dalla durevole pietra delle costruzioni antiche fino all'invece più industriale utilizzo del cemento moderno, siamo spinti in un viaggio visivo e uditivo che passa attraverso la nuda roccia, nelle cave e infine nei cantieri, per arrivare alle devastazioni della guerra. Ma a dare pieno senso e compimento all'opera sono i momenti in cui seguiamo l'architetto Michele De Lucchi che, nel costruire nel giardino della sua casa di famiglia un'opera che sia durevole nel tempo, ci propone, specialmente verso la fine, alcune riflessioni che racchiudono e sintetizzano alla perfezione l'intero film. "Dobbiamo trovare una nuova idea di bellezza" dice De Lucchi, un'idea che trascenda le mode e la necessità compulsiva di spazi tutti uguali, impersonali ed estranei.
Le immagini, suggestive e potenti
L'architettura diventa così cartina tornasole dei progressi dell'umanità. Lo stato della nostra civiltà, i suoi progressi e le sue mancanze sono riflesse in ciò che costruiamo. E nel mostrare tutto questo la cifra stilistica di Kossakovsky si vede e si sente: le suggestive immagini delle cave di pietra, dei palazzi in rovina sono supportate da un sonoro che gli conferisce struttura e peso esaltando i materiali, quasi potessimo toccarli.
Ed è questa solidità a raccontarci la bravura di questo regista nel comunicare senza bisogno di parole, nel lasciare esclusivamente alle immagini in movimento e alla luce il compito di raccontare una storia, o un concetto. Anche qui, come in altri suoi lavori l'uso del bianco e nero è importante e mirato a rendere l'idea di un passato e di un futuro incastonati nello scorrere del tempo, al quale solo la nuda roccia sembra resistere.
Poche, misurate e decisive parole
Come già accennato in precedenza, però, in Architecton, a risultare estremamente comunicativa è la scarsa presenza di dialoghi. Le poche frasi che sentiamo, pronunciate principalmente da Michele De Lucchi sono quell'elemento che da compiutezza all'opera, avvicinandola in qualche modo ulteriormente allo spettatore. Qualche breve scambio durante la posa delle pietre per la costruzione del suo Cerchio della vita, un piccolo luogo inaccessibile all'uomo, preparano chi guarda al suo toccante discorso finale in dialogo con il regista, una riflessione lucida e consapevole sull'architettura come arte e come espressione del vivere di una specie come la nostra che per sopravvivere, ora più che mai, ha bisogno di riscoprire gli spazi e la natura.
Conclusioni
Architecton e il nuovo documentario di Victor Kossakovsky che va a concludere un’ideale trilogia, insieme a Vivan las Antipodas! e Aquarela, che mira a cambiare la visione del mondo dello spettatore, proponendo una riflessione profonda sugli spazi e sull’architettura come mezzo espressivo della nostra specie. Attraverso immagini suggestive e potenti, il regista veicola un messaggio che è anche e sopratutto ambientalista, un discorso che porta a compimento nel dialogo finale con l’architetto Michele De Lucchi.
Perché ci piace
- Le immagini, potenti e suggestive.
- Il sonoro che conferisce peso e corpo ai materiali mostrati.
- Il discorso finale dell’architetto Michele De Lucchi, una riflessione interessante, sunto dell’opera.
Cosa non va
- Potrebbe scontentare chi preferisce documentari più esplicativi.