Si arriva agli ultimi titoli di coda, quelli del sesto episodio, di Anna con una duplice sensazione: quella di aver assistito a qualcosa di coraggioso e innovativo nel panorama televisivo italiano e quella di sentirsi in qualche modo alleggeriti, come dei novelli Dante che finalmente riescono a uscire dall'inferno e rivedono le stelle. Il viaggio di Anna e suo fratello Astor è stato un viaggio potente ed evocativo, pregno di significati e denso di avvenimenti, tra derive di puro orrore e momenti di rara poesia. Un percorso inedito che ci ha sconvolto ed emozionato, e che si conclude con un'ultima, splendida inquadratura finale che dà senso a tutto ciò che abbiamo visto. La spiegazione del finale della miniserie scritta e diretta da Niccolò Ammaniti, adattamento del suo romanzo omonimo del 2015, sta tutta in quei momenti finali, supportati da un sesto episodio davvero forte, in cui morte e vita dialogano e si ascoltano. Se nella nostra recensione di Anna ci siamo concentrati sulla qualità della miniserie targata Sky, e disponibile, oltre che on demand, anche su NOW, qui scegliamo di approfondire gli aspetti tematici dell'ultimo episodio, di come si legano al resto della miniserie e al messaggio finale della storia. Con una piccola provocazione conclusiva.
Dall'oscurità alla luce
È stata una vera e propria discesa all'inferno, quella di Anna e di suo fratello Astor. La Rossa, un misterioso virus proveniente dal Belgio che uccide gli adulti lasciando i bambini sopravvissuti senza regole, ha dato vita a un mondo primordiale, violento, cupo e terribile. Nessuna regola, nessuna educazione, il mondo in cui Anna e Astor cercano di sopravvivere è già duro di per sé, eppure non è nulla rispetto al mondo della villa siciliana in cui vivono Angelica e i suoi accoliti. Le puntate centrali di Anna sono state un vero tour de force emotivo, in cui Anna e il fratellino si sono divisi, si sono fratturati, nell'animo e nel corpo (Astor si allontanerà dalla sorella dando l'impressione di rompere quel legame indissolubile; Anna perderà addirittura un braccio). Attraverso la scenografia curatissima, attraverso quel caos anarchico creato dalla libertà assoluta dell'assenza di punti di riferimento genitoriali, la villa di Angelica è stata la casa degli orrori per la nostra protagonista. A tratti ricordando il terribile (in senso buono) Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, il viaggio di Anna lì dentro arriva al punto più basso. Così basso che, una volta superato, si può solo cercare di risalire. Una risalita che avviene nell'episodio successivo, il quinto, in cui Anna e Pietro salgono lungo le lande desolate dell'Etna per cercare una redenzione, una pace interiore, per ritrovare un senso alla loro esistenza e, per il ragazzo, vincere la paura della morte. Perché non conta quanto si vive, ma come si vive quell'unica vita che si ha a disposizione.
Anna, parla Niccolò Ammaniti: "è la speranza a muovere tutta la storia"
Vecchia morte, nuova vita
In quest'epifania colma di speranza, anche la serie stessa si apre alla luce dopo essere scesa nelle tenebre più cupe. Il sesto episodio dialogo con questi due opposti, con la morte e la vita, mettendo in scena paesaggi meravigliosi (la spiaggia al tramonto), riscoprendo la magia (l'elefante in riva al mare) e, soprattutto, riappropriandosi di quel legame così unico e vero tra i due fratelli. Un legame nato proprio dalla morte della madre, un legame ciclico e a suo modo magico: più la madre si decomponeva e si tramutava in un mucchio d'ossa, più Anna ed Astor scoprivano un'unione potente, necessaria per affrontare la vita insieme. Il sesto episodio è quasi lo specchio del primo: concentrato unicamente su Anna e Astor, sui loro ricordi, su ciò che ha permesso loro di arrivare fino a quel punto. Ormai senza nulla da perdere, ma in qualche modo rinnovati nello spirito, Anna coinvolge Astor in un ultimo tentativo di vita: oltrepassare il mare a bordo di un pedalò (e quindi faticando ancora), nella speranza di arrivare nel continente, l'Italia. In cerca di adulti sopravvissuti. È a suo modo una corsa contro il tempo perché La Rossa colpirà anche Anna, lasciando Astor da solo. Ma è anche il gesto più incredibile che distingue Anna da tutti gli altri ragazzini. L'eredità della madre, un quaderno delle "cose da fare quando la mamma muore" (che dà anche il titolo all'episodio), carta e penna che permettono ad Anna di sopravvivere, grazie alla lettura, grazie a un ultimo regalo educativo della madre, freddo nella scrittura (il modo in cui questa madre spiega cosa succederà dopo i 100 giorni dalla sua morte fa venire i brividi) ma carico d'amore. In un mondo in cui la morte è più naturale del solito, quasi senza importanza (il mondo in cui i protagonisti si muovono è ripieno di caducità e abbandono, non sorprende più vedere la gente morire e, quindi, di conseguenza, nemmeno la vita sembra avere più valore), Anna deciderà di abbracciare la vita, di riscoprirla, di cercarla. Una scelta che trova la perfetta rappresentazione nella decisione di seppellire finalmente il teschio della madre: prima era una reliquia da tenere in casa, quasi a non volersi separare mai definitivamente, una presenza mortifera in camera da letto; ora, invece, Anna è pronta a lasciar andare la madre che le ha dato così tanto, a farla appartenere al passato, ad andare oltre la morte.
Il futuro è femminile
Se ci soffermiamo sul ruolo della madre all'interno del racconto è perché, in qualche modo, Anna è una miniserie sulle madri. Lo è Maria Grazia, di Anna e Astor; lo è Angelica, dei Blu e dei Bianchi che vivono con lei; lo è Anna stessa, madre putativa per il fratellino. Senza contare il cambiamento di Pietro proprio a causa della morte della madre e di come i gemelli, educati dal padre un po' viscido, siano incapaci di fare del bene. Ma la lista potrebbe proseguire. Ciò che vogliamo sottolineare è l'importanza della figura materna nell'economia della serie, perché, seppur spesso imperfetta, è comunque portatrice di vita. È proprio in questo rinnovamento femminile che la serie apre le porte alla luce e alla speranza. La magia stessa, che la serie mette in scena, è femminile. Il miracolo della Picciridduna Katia, l'unica adulta sopravvissuta alla Rossa e che diventerà la nuova madre nella villa di Bagheria: un ermafrodita che incorpora sia il femminile che il maschile e, come tale, che fugge alle regole prestabilite. Il nome Anna, palindromo e quindi magico: la protagonista racchiude in sé il ciclo infinito di vita e morte, riesce a farsene carico, a transitare dalla fine all'inizio e viceversa, instancabilmente (quante volte Astor vorrebbe fermarsi perché stanco ed è Anna a mostrare un'energia inumana?). È la stessa Anna che, una volta perso per sempre il quaderno lasciatole dalla madre, quasi senza darne troppa importanza pronuncia che ne scriverà un altro. E sempre a una madre è destinata l'ultima inquadratura della miniserie: ai seni e a un neonato, alla fertilità, alla rinascita, alla speranza, all'ordine del mondo. Viene in mente il celebre dipinto di Gustave Courbet L'origine del mondo che racchiude in un'immagine potente tutto il discorso. Ed è proprio la voce fuori campo di Maria Grazia a chiudere il racconto, in cui esaltando l'immaginazione e il potere delle storie, unica cosa che distingue l'essere umano dagli altri animali, si può trasformare il caos del mondo in un nuovo inizio. Non ci sorprende che sia l'unica madre interessata a lasciare un quaderno educativo ai figli prima di morire a farsi portavoce della speranza.
Il potere delle storie
L'immaginario di Anna colpisce molto più a fondo rispetto al romanzo pubblicato nel 2015 proprio per le analogie del mondo reale in cui rispetto al plot narrativo nel momento in cui la serie viene distribuita. Un virus letale contagioso, la tosse come sintomo di malattia, problemi respiratori generali, una desolazione che trasforma il mondo. Potrebbe trattarsi di un pessimo tempismo, ma a noi piace pensare, invece, che sia stato davvero il momento giusto. Soprattutto per il messaggio finale. Il nostro 2020 è stato un anno davvero particolare, dove il mondo dello spettacolo, quasi dato per scontato e lasciato ai margini dei discorsi, ha visto troppe luci spegnersi per sempre. Vogliamo credere che il tempismo di uscita di Anna sia perfetto e che quel messaggio di speranza conclusivo possa contagiare la nostra realtà. Perché, al di là del puro racconto, Anna sembra voler lasciare un messaggio importante, proprio nei momenti finali, proprio quando mette in scena il futuro e la luce. Una luce che deve diventare quella dei proiettori in sala e dei riflettori a teatro. Non sono soli passatempi o svaghi: le storie e la cultura (il famoso quaderno lasciato in eredità) sono la base fondamentale di ciò che non ci rende animali. L'immaginazione e il racconto sono la magia, la stessa che è ben presente nel corso dei sei episodi e di cui abbiamo scritto sopra, che trasformano il caos del mondo in qualcosa di comprensibile. E solo attraverso la comprensione possiamo attraversare la fine e abbracciare un nuovo inizio. Questo capolavoro di Niccolò Ammaniti, inedito e (speriamo lo sia davvero) nuovo punto di partenza per la capacità di raccontare storie nella nostra industria, compie un ultimo atto di coraggio: ci ricorda senza filtri il potere delle storie.