Catherine Breillat era un (bel) po' che mancava al cinema. Precisamente, dal 2013, quando diresse Abus de Faiblesse. Prima, fece parlare di sé per Pornocrazia, un film del 2004 dove Amira Casar veniva osservata - per quattro giorni - da (nientemeno) Rocco Siffredi. Un film tra l'erotico e il drammatico, accolto, diremo, non troppo calorosamente. Andò meglio nel 2007 con Une vieille maîtresse, anch'esso dalle sfumature erotiche, interpretato da Asia Argento e Fu'ad Aït Aattou, con tanto di passaggio a Cannes. E proprio la Croisette, nel 2023, ha riaccolto la regista, offrendole un prestigioso slot in concorso, grazie a Ancora un'estate, remake del danese Dronningen.
Questa volta, unendo i cardini della sua poetica, non si allontana dal concetto dell'erotismo francese-borghese, puntando invece su un'amore (im)possibile, spinto forse più dalla noia che dal sentimento. Su questa linea, avanza, senza però offrire guizzi, il film della Breillat. Un film che punterebbe ad essere emotivamente insurrezionale, finendo però per girare troppe volte su sé stesso, senza andare oltre la sfida fisica dei due protagonisti. Soprattutto, senza andare oltre le regole del melodramma.
Ancora un'estate, relazioni proibite
Ancora un'estate, con la sceneggiatura adattata dalla stessa Breillat, insieme a Pascal Bonitzer, ci porta a Parigi, facendoci conoscere Anne (Léa Drucker), avvocatessa penalista di successo che si occupa di minori. Vive con il marito Pierre (Olivier Rabourdin) e con le loro due figlie. Il climax è di tranquillità, ma forse la routine, e i tanti impegni di Pierre, stanno minando l'auto-considerazione di Anne. Poi, la scintilla: a casa arriva Théo (Samuel Kricher), che ha diciassette anni ed è il figlio di Pierre, nato da una precedente relazione. Il ragazzo si trasferisce da loro e, dopo un'iniziale scostamento, si avvicina ad Anne. I due iniziano una relazione, consumata tra fughe notturne, amplessi fugaci e sguardi complici ma conflittuali, alterando gli equilibri della famiglia.
Cinema sovversivo o cinema borghese?
Ancora un'estate, per volere della regista, gira attorno al senso della bugia. Sembra che la menzogna sia il legame che unisce la consapevolezza della protagonista, lanciata verso qualcosa di oggettivamente proibito che, però, viene destrutturato in funzione della sua libertà. Senza giudicare, e di conseguenza senza portarci a giudicare gli eventi messi in moto (anche perché proviamo una certa distanza verso i personaggi), Ancora un'estate prova a ripercorrere la strada della complessità umana, pur non riuscendo ad affrontarla con la lucidità dovuta, e senza aggiungere granché rispetto ad altri film che hanno affrontato un tema simile.
La sovversione concettuale ricercata da Catherine Breillat, che elude al massimo il senso della morale, riassumendo il tutto nell'atto sessuale (tanto che le sfumature erotiche sono un suo metro stilistico), si ferma però nel momento in cui la cornice e lo stereotipo borghese prendono il sopravvento, invece che sottolineare il conformismo della stessa società (come immaginiamo avrebbe voluto la regista). Niente di celebrale, quindi, nonostante la regista voglia farci credere il contrario, grazie ad un'atmosfera soffusa e, in qualche modo, strutturata per accompagnare gli spettatori nei meandri di una narrativa liberale che, però, si incastra inevitabilmente nella superficialità, pur spinta da uno scopo autoriale di sentita rilevanza. Perché il cinema non deve mai dare il buon esempio. Semmai, deve darci buoni film.
Conclusioni
Catherine Breillat torna alla regia con un film che esplora il bisogno di libertà di una donna, spinta a ritrovare una certa considerazione. Senza farle la morale, e senza prendere parte, la regista costruisce un melò che vorrebbe risultare sovversivo, fermandosi però sulla superficie di una storia carica di personaggi poco incisivi.
Perché ci piace
- La presenza di Léa Drucker.
- Lo spunto di base.
Cosa non va
- ... ma poi poco approfondito, poco incisivo.
- Una certa atmosfera borghese.
- Personaggi abbastanza basici.