Anarchy in the U.S.A.
Una corsa a perdifiato in bici per seguire il rottame di una macchina, trascinata da un carro attrezzi. TJ non riesce a farsi una ragione della morte di sua madre. L'unica cosa che può fare è attaccarsi a quel relitto per non perdere anche l'ultima cosa che gli resta di lei. Vivere per lui non è facile. Con un padre devastato dal lutto, addormentato dagli psicofarmaci e una nonna malata che bada come può al menage familiare, TJ si deve arrangiare da solo, anche a fronteggiare il disgustoso bullo che ogni giorno lo martorizza. Ma l'equilibrio non è il forte di questo tredicenne che cade sempre dalla bicicletta. Finisce a terra anche quando incontra Hesher, un ribelle perdigiorno e capellone che sembra pervaso da una rabbia incontrollabile. Buona o cattiva che sia, quella figura maschile è la prima che si rapporta con il tredicenne dopo la perdita della mamma. In pieno ossequio ad uno stile di vita che non contempla il possesso di alcuna proprietà, eccetto il furgone, Hesher si piazza a casa di TJ e diventa per lui, in maniera non richiesta, una sorta di fratello maggiore. Sboccato, volgare, violento, un po' pazzo, che più di una volta lo mette nei guai e che rovina perfino la prima cotta di TJ, Nicole, la cassiera di cui si innamora perdutamente.
E' stato un percorso un po' tortuoso quello che ha portato nella sale italiane il film di Spencer Susser, Hesher è stato qui. Presentato al Sundance Film Festival nel gennaio del 2010 e distibuito negli Stati Uniti nel maggio del 2011, il lungometraggio arriva da noi con l'intento di scuotere il pubblico, grazie alla forza dirompente di un protagonista in realtà molto positivo, ma circondato da un'aura di vero maudit, con tanto di tatuaggi fatti in casa, uno dei quali raffigurante un inequivocabile dito medio sollevato. Il film ha una storia che regge soprattutto grazie al personaggio principale, in grado di incendiare con i suoi gesti, i discorsi, i comportamenti al limite del criminale, una sceneggiatura (scritta a quattro mani con il David Michôd di Animal Kingdom) che sembra congelata, focalizzata su un presente desolante, congegnata per non richiedere alcun colpo di scena e in alcuni punti oscura. Se non ci fosse un protagonista come Hesher probabilmente ci dimenticheremmo di un film del genere, che avrebbe potuto confondersi con altre produzioni simili, opere canonicamente indie, esteticamente dimesse come l'umanità che rappresentano; ma la follia di Hesher, e ovviamente l'azzeccata interpretazione di Joseph Gordon-Levitt, il suo essere sopra le righe, talvolta in maniera disturbante e discutibile, ci sono e molto dicono di un personaggio che è più complesso di quanto lasci trasparire. Modellato da Gordon-Levitt sulle fattezze del celebre bassista dei Metallica, Cliff Burton, Hesher è certamente affine alla classica figura del rocker maledetto, eppure sotto la scorza del ribelle disperato c'è un giovane che sa afferrare i punti chiave della vita e li spiega attraverso quelle che Nicole, il personaggio interpretato da Natalie Portman, chiama "metafore perverse". Basterebbe citare la poetica orazione funebre che lo vede protagonista nella parte finale del film, per comprendere l'efficacia di certe immagini usate. Il modo in cui si relaziona con TJ, Devin Brochu, senza fascinazioni di sorta, e poi con suo padre, un Rainn Wilson ancora convincente dopo Super e con nonna Madeline, l'eccellente Piper Laurie, ha un che di anarchico, è certo, ma possiede anche quell'umanità che è il tratto più vero ed autentico di questo carattere punk. Costruito attorno ad un'assenza, lo script procede per accumulazioni, seguendo un filo che sembra non portare da nessuna parte, come se il fluire della narrazione si spezzasse in mille rivoli, ora seguendo quel personaggio, ora l'altro. E' Hesher che unifica tutto, il detonatore di una famiglia annientata dal dolore, incapace di uscire da quel guscio freddo e anaffettivo. Questa strana figura cambia le carte in tavola, tanto che di nuovo di fronte ad una separazione, TJ reagisce finalmente in maniera diversa, concedendosi un bel pianto e assistendo anche alla rinascita del papà. Quello che Susser voleva dire sugli strani percorsi che si intraprendono per ritornare a vedere le stelle, magari facendosi accompagnare da un Virgilio sui generis, lo ha detto. Forse in maniera non sempre chiara e con un registro mai del tutto netto, ma con apprezzabile verità. E questo grazie ad un gruppo di attori davvero credibili ed efficaci.
Movieplayer.it
3.0/5