Torna al cinema da venerdì prossimo nelle sale del circuito di Distribuzione Indipendente la pellicola di Marco Luca Cattaneo, Amore liquido, film che racconta in maniera asciutta e forte la discesa agli inferi di Mario, un uomo affetto da pornodipendenza, costretto a rivedere la sua vita dopo l'incontro inaspettato con Agatha, una giovane donna che lo spinge a confrontarsi con sentimenti da tempo tenuti sopiti. Premiato come miglior film al RIFF, Rome Indipendent Film Festival nel 2010, il lungometraggio dell'autore toscano ritrova una collocazione in sala a quattro anni dalla sua realizzazione e a due dal primo rapidissimo passaggio (una sola settimana al cinema Nuovo Aquila di Roma), portando a compimento il classico percorso a ostacoli di una produzione low budget, finanziata da Nicola Fontanili in collaborazione con l'Associazione Culturale Evoè di Bologna, con il cast e la troupe. A metà tra documentario e fiction il lavoro di Cattaneo si ispira alle riflessioni del sociologo di origine polacca Zygmunt Bauman, studioso della fragilità dei legami affettivi, specchio di una società definita liquida, ovvero senza certezze, fragile e disunita. Un tema complesso di cui abbiamo parlato con una delle interpreti del film, Sara Sartini che assieme a Stefano Fregni ha il compito di raccontare una vicenda amara che non lascia spazio ad alcuna speranza.
Sara, cosa si prova ad aver lavorato ad un film che ha ricevuto dei buoni riconoscimenti all'estero e che in Italia ha dovuto faticare parecchio per trovare una distribuzione?
E' frustrante. Vorrei sottolineare che il film è stato girato con ventimila euro dati da un privato che ha investito di tasca sua nel progetto, a cui poi abbiamo partecipato tutti come azionisti. Ha vinto a Montreal come migliore opera prima, si è imposto al RIFF e nonostante questo Marco Luca Cattaneo sta lavorando ad altre cose per potersi produrre l'opera seconda. Capisco che possa essere un prodotto non facile, che si allontana dal mainstream, che ti spinge alla riflessione e magari non intrattiene, ma la sostanza resta.
In realtà tutto si è svolto nella maniera più canonica e istituzionale sia per quanto riguarda il provino che sul set. La mia agente mi aveva avvisato che stavano cercando un'attrice per il ruolo di Agatha, ho fatto il provino e mi hanno presa. A quel punto l'agente mi ha spiegato che non mi avrebbero pagata (ride), ma è stato più forte l'amore per il lavoro e per i progetti alternativi e mi sono detta 'Facciamolo! Può essere una cosa carina, hai visto mai che riusciamo ad essere distribuiti'. Questo dimostra che ci vuole davvero poco per fare un film, a volte si buttano davvero tanti soldi in sciocchezze. In questo caso abbiamo dovuto inventarci delle cose. Ad esempio, nella sceneggiatura era prevista la scena di una festa con i bambini a cui avrebbero dovuto partecipare Agatha e Mario. Non avevamo idea di come poter realizzare questa cosa, visto che stavamo girando in una Bologna completamente deserta. L'amica di una costumista ci porta un volantino in cui era segnalata una festa di fine stagione in una sorta di comune hippie sugli appennini tosco emiliani e abbiamo deciso di partecipare e filmare tutto lì. Direi che è una scelta di stile assolutamente coerente. Hai giustamente sottolineato che il tema della pornodipendenza non è certamente tra i più facili. Vista la delicatezza dell'argomento vi siete confrontati con il regista anche a livello drammaturgico?
Abbiamo avuto la fortuna di lavorare molto tempo insieme e quindi ne parlavamo sempre, anche a cena. E' grazie a questo aspetto che si è subito instaurato il giusto feeling e abbiamo deciso di sposare questo progetto. Quanto all'argomento, sapevamo che sarebbe stato difficile affrontarlo in una determinata maniera. Il film parla dell'impossibilità di stabilire dei veri rapporti umani. Viviamo in una società satura di immagini e non c'è spazio per la fantasia, né per altre emozioni. Sembra di stare davanti a un buffet in cui tutto è disposizione e ci si sposa e ci si lascia con la stessa velocità. Se hai la fortuna di incontrare qualcuno, puoi percorrere un pezzo di strada assieme a lui, ma non è sempre facile, e nella pellicola si vede, creare relazioni forti e durature.
Il personaggio di Agatha è forse il più positivo del film. Esce da una separazione difficile, ha una bimba che ama e trova in Mario la persona giusta per ricominciare a vivere...
E' vero, lei è un personaggio positivo ed è attaccata alla vita, a tal punto che quando arriva qualcuno buono pensa di aver trovato il porto sicuro. Mentre giravamo ho spesso chiesto a Marco il perché di certe sue azioni, come quella di fidarsi completamente, dal primo momento, di uno sconosciuto come Mario, ma mi sono resa conto che il mio era in realtà un giudizio. Volevo darle qualche insicurezza in più, alla fine ho deciso di seguire la linea tracciata dal regista che attraverso di lei voleva dare un messaggio di apertura e fiducia verso la vita, una speranza. Purtroppo è Mario che non ce la fa, in lui la solitudine diventa dramma estremo.
Com'è stato lavorare con Marco Luca Cattaneo?
Anche se ha solo 32 anni ci ha diretti benissimo. Oltre ad essere molto competente dal punto di vista artistico gli è toccato in sorte anche la maggior parte del lavoro di produzione. Teneva le fila del set e non è sempre stato facile, ma ripeto, questo non vuol dire che le cose non siano andate bene. Lavorare in un film indipendente vuol dire 'solo' che non c'è l'assistente che ti viene a prendere e ti porta un caffè, ma che ti trucchi da sola e vai sul set. Tutti abbiamo fatto tutto.