Non ci sono registi italiani come i fratelli D'Innocenzo, oggi. È questo il pensiero che, a distanza di qualche ora dalla visione, continua a martellarci in testa e il motivo è presto detto. In questa nostra recensione di America Latina vi spiegheremo perché questo terzo film scritto e diretto da Fabio e Damiano D'Innocenzo non va sottovalutato. Presentato in concorso a Venezia 78, America Latina conferma lo straordinario talento dei giovani cineasti, mantenendone riconoscibile lo stile unico e personale a cui ci hanno abituato, ma anche proseguendo un percorso di evoluzione e miglioramento che ne matura lo stile. Non sorprende la presenza del film in questa dimensione festivaliera, perché come Favolacce prendeva le distanze dal precedente La Terra dell'Abbastanza, così accade in America Latina dando vita a un film autoriale, a tratti sicuramente respingente, eppure di grande forza.
Il Massimo dell'angoscia
Protagonista del film è Massimo Sisti, un dentista che sembra avere tutto quello che desidera: un lavoro ben retribuito, la lunga amicizia con il suo migliore amico Stefano, una moglie e due figlie che gli vogliono bene, una villetta con piscina nel mezzo di una silenziosa zona di periferia. Nonostante la routine, Massimo sembra vivere la vita che ognuno di noi desidererebbe. Una sera, però, scendendo in cantina si ritroverà di fronte a qualcosa di inaspettato: una ragazza legata e imbavagliata, forse da giorni, in mezzo alla sporcizia. Per Massimo sarà l'inizio di una frattura che porterà al crollo della sua vita perfetta. Cercando di scoprire come sia possibile che una ragazza sia rinchiusa nella cantina di casa sua, il protagonista del film inizierà a dubitare dei suoi legami personali e delle sue stesse convinzioni. Non vogliamo raccontarvi di più, perché nonostante la breve durata (solo 90 minuti) e una trama ridotta all'osso, America Latina è un film che riserva parecchie sorprese da scoprire durante la visione. Si tratta di un'opera, più delle precedenti del duo, legata alla creazione di un'atmosfera e di un sentimento di angoscia sempre più opprimente. Lo spettatore sarà costretto a subire un tour de force emotivo, composto da ritmi sospesi e tempi dilatati che invitano a posare lo sguardo su ogni dettaglio dell'inquadratura, immergendoci (e non usiamo il termine in maniera vana vista l'importanza che ha l'elemento dell'acqua all'interno del film stesso) nella vita di Massimo, e scavandone, di conseguenza, la dimensione psicologica.
Un thriller di poesia
Se dovessimo racchiudere in una parola America Latina delimitandolo nei confini di un genere, potremmo affermare che il film dei fratelli D'Innocenzo sia un thriller. Alla base è presente un mistero che, man mano che la storia procede, va svelato. Tuttavia, sarebbe irrispettoso considerare questo gioiello cinematografico in maniera così semplice e sbrigativa. Si tratta di un vero film d'autore dove l'attenzione per l'immagine e il montaggio denota una dimensione più poetica, a discapito di quella puramente narrativa. E sarebbe oltremodo facile considerare America Latina un film d'autore solo per come, attraverso ciò che lo caratterizza, respinge il pubblico meno paziente e poco abituato a una visione di questo tipo. Non si può negare che Fabio e Damiano D'Innocenzo siano degli autori, con una voce personale, coerente con le opere del loro passato e, allo stesso tempo, alla ricerca di un minimalismo che rafforza la cura della messa in scena. Hanno solo 33 anni i due registi, eppure la maturità stilistica raggiunta in questo terzo lungometraggio appartiene ai grandi Maestri della settima arte. Basti notare come le inquadrature siano costruite perfettamente, con un'attenzione particolare ai colori e alla composizione degli elementi nel quadro; al modo in cui muovono la macchina da presa per donare un significato ulteriore alla narrazione; a come sanno valorizzare gli attori di fronte all'obiettivo, soprattutto concentrandosi sui volti, sulla loro bellezza e sulla loro storia passata (e magari nemmeno raccontata all'interno del film, ma percepibile, tanto da rendere i personaggi tridimensionali). Fautori di un cinema poetico più interessato a porre domande che donare risposte precise, i fratelli D'Innocenzo ricordano al pubblico l'importanza dell'arte come stimolo per mettersi in discussione.
Riflettersi in Elio Germano
Più intimo e piccolo del precedente Favolacce, America Latina è composto da un ristretto cast che risulta particolarmente azzeccato. Vogliamo citare la prova dei componenti della famiglia del protagonista, ovvero Astrid Casali, Sara Ciocca e Carlotta Gamba. Tre donne di tre generazioni diverse che appaiono come presenze quasi divine, denotando l'efficace lavoro di fotografia di Paolo Carnera. Chiaramente, il protagonista assoluto su cui il film si concentra, senza mollarlo mai, è Elio Germano. Il suo Massimo è un personaggio che si specchia e si riflette continuamente, sulle superfici dei mobili puliti, sull'acqua della piscina, sui vetri delle finestre, quasi a costruirne una dimensione più spirituale e interiore che sa stimolare la visione del pubblico. Pubblico che viene coinvolto sin da subito nell'angoscia sempre crescente che soffoca il personaggio. Il nostro non è solo uno specchiarsi in un personaggio alla ricerca della soluzione del mistero, ma anche un riflettersi emotivamente. Per comprendere appieno America Latina bisogna compiere un processo che ha a che fare con la sensibilità, comprendendo l'anima fragile di Massimo. Appare, quindi, naturale paragonare brevemente il personaggio interpretato dallo stesso Germano nel precedente film dei D'Innocenzo: anche se il look è simile, si tratta di un personaggio opposto, dove il machismo del padre di famiglia del film del 2020 viene distrutto a favore di un'emotività anche instabile. Proprio il modo in cui viene espressa quest'instabilità emotiva dona alla prova attoriale di Elio Germano un valore aggiunto, coadiuvato da alcuni momenti registici che lo elevano.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di America Latina ricordando che questo terzo film dei fratelli D’Innocenzo non è semplice e immediato. Tuttavia è capace di crescere, se non proprio sbocciare, dentro di noi col passare del tempo. Un film che è un invito all’empatia e alla riscoperta delle emozioni, sorretto da un cast all’altezza e una regia magistrale. Più interessato a un racconto per immagini, visuale (e quindi esclusivo del cinema) che di parola, America Latina è la conferma di un talento unico e la riappropriazione dell’arte cinematografica come specchio di una misteriosa sensibilità da riscoprire.
Perché ci piace
- La regia sontuosa, elegante e ricca di idee visive dei fratelli D’Innocenzo.
- Il cast totalmente in parte, con un Elio Germano protagonista intenso.
- Il racconto è più interessato a procedere attraverso le immagini, lasciando una certa dose di mistero.
- Thriller di stampo poetico, dove lo spettatore è invitato a immergersi nell’atmosfera e riflettersi nel protagonista, empatizzando.
Cosa non va
- I ritmi distesi potrebbero allontanare lo spettatore meno paziente che predilige un cinema meno autoriale.