La recensione di Altri padri, film drammatico che è stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Torino, nella sezione Fuori Concorso, prima di uscire in sala come evento di tre giorni fra il 13 e il 15 dicembre, ci trasporta nel primo universo di finzione portato sullo schermo da Mario Sesti, noto critico cinematografico e collaboratore di festival (da sempre uno dei nomi importanti della Festa del Cinema di Roma, dove cura le retrospettive), nonché autore di vari documentari sulla settima arte e i suoi grandi nomi italiani, da Fellini a Pasolini passando per Paolo Villaggio e la mitica maschera comica di Fantozzi. In questa sede, alle prese con una storia inventata di sana pianta e con attori non provenienti da materiale d'archivio, collabora alla sceneggiatura con Gianluca Cerasola, elaborando in chiave mystery/processuale il tema della separazione coniugale e della violenza domestica e partendo da uno spunto dalle implicazioni forti: e se, in questo caso, al netto delle colpe di entrambe le parti, la vittima dei soprusi fosse l'uomo?
Una vita infernale
Altri padri pone al centro la figura di Giulio (Paolo Briguglia), che si è separato da Annalisa (Chiara Francini) dopo averne scoperto l'adulterio. Costretto a vivere nella propria automobile, Giulio non può neanche più vedere i figli perché lei, desiderosa di andare a vivere e lavorare negli Stati Uniti con il nuovo compagno (cosa a cui Giulio si oppone per ovvi motivi), ha ottenuto un'ordinanza restrittiva accusandolo di comportamenti violenti nei confronti dei piccoli. Subito dopo lui viene arrestato perché la polizia trova nella sua macchina una quantità non indifferente di cocaina, e i suoi precedenti giudiziari non giocano a suo favore. Tra le mura del carcere di Rebibbia, egli ricomincia a tessere legami sociali con il mondo circostante, mentre all'esterno si creano i sospetti che forse qualcuno abbia cercato di incastrarlo, e di conseguenza chi inizialmente era pronto a bollarlo come un criminale qualunque si ritrova a mettere in dubbio le convinzioni di un tempo.
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Genitori e dolori
Mario Sesti e Gianluca Cerasola costruiscono l'intreccio secondo le logiche di genere, ponendo il dolore della separazione al centro di un mistero e trasformandolo quasi in un MacGuffin, termine che nell'accezione hitchcockiana indicava qualcosa di tutto sommato irrilevante come entità a sé (concetto espresso al meglio in Mission: Impossible III, dove non scopriamo mai esattamente che cosa sia la famigerata Zampa di Lepre di cui vuole impossessarsi l'antagonista). Ed è così che viene trattato il trauma nel film: è un espediente, una scusa, un punto di partenza per sfoggiare la propria conoscenza dei codici visivi del crime movie, tra asettici stanzini per gli interrogatori e opprimenti ambientazioni carcerarie. E altrettanto asettico è il dolore, teoricamente il perno centrale della pellicola ma sempre e solo raccontato a parole e mai veramente vissuto, nel contesto di un racconto esteticamente elegante ma freddo e distaccato, dove la componente emotiva è ridotta ad argomento di conversazione.
Ne escono penalizzati soprattutto i due diretti interessati sullo schermo, in particolare Chiara Francini che, per esigenze di copione, ha una presenza più ridotta e quindi meno materiale a disposizione per costruire il proprio personaggio. Briguglia, teoricamente avvantaggiato in quanto elemento centrale del film, si ritrova altrettanto in alto mare perché, nonostante l'evidente impegno che ci mette, gli strati emotivi e intellettuali della sua performance rimangono in superficie, seppelliti da una regia che trascura il fattore umano pur volendo approfondire un argomento delicato come la violenza domestica in modo più complesso del solito. Alla fine, rimane solo una confezione che si lascia guardare, mentre all'interno c'è non poco spazio inoccupato, malgrado il potenziale della premessa.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Altri padri sottolineando come l'esordio nella finzione di Mario Sesti rielabori in modo elegante ma freddo il tema della separazione coniugale tramite il filtro del mistero e dei drammi giudiziari.
Perché ci piace
- L'approccio processuale dà all'operazione una certa dignità formale di genere.
- Gli attori ci si mettono tutti d'impegno.
- L'idea di base è ricca di spunti interessanti...
Cosa non va
- ... ma l'esecuzione fredda e distaccata li lascia quasi interamente irrisolti, soprattutto per quanto riguarda il fattore emotivo.