La presentazione c'è stata lo scorso novembre durante il Festival Internazionale del Film di Roma, nella sezione Alice nella Città, ma solo il prossimo 30 aprile, Il mondo fino in fondo, esordio registico di Alessandro Lunardelli, arriverà nelle nostre sale con Microcinema Distribuzione. Si tratta di un'opera interessante che racconta la storia di due fratelli agli antipodi, profondamente uniti, ma spesso e volentieri in disaccordo. Loris, interpretato da Luca Marinelli, è un imprenditore che si è caricato sulle spalle il peso dell'azienda di famiglia; tenta di tenere sempre tutto sotto controllo, anche la vita del fratello minore Davide, Filippo Scicchitano, di cui però ignora molti aspetti. Il ragazzo, infatti, è omosessuale e nasconde la sua identità per timore di non essere accettato da amici e familiari. Quando però si innamora di Andy, un giovane cileno conosciuto durante un viaggio a Barcellona, decide di prendere in mano la sua vita e di seguirlo fino in Sudamerica, dove Davide entrerà in contatto con un contesto sociale diverso, decisamente più ricco e stimolante, quello delle lotte ecologiste. Pur di recuperare il fratello, Loris ne seguirà le tracce e scoprirà quanto abbia da imparare da quel ragazzo che riteneva a torto uno scapestrato. Ci siamo fatti raccontare qualcosa in più dal diretto interessato, Alessandro Lunardelli, con cui abbiamo piacevolmente chiacchierato di cinema e non solo.
Alessandro, cosa ti ha spinto a compiere il grande salto e a fare il regista?
L'incoscienza? Forse. Mi sono avvicinato a questo mondo da autodidatta completo, ho sognato a lungo di farne parte, ero un grande divoratore di cinema e sognavo insieme alle parole che sentivo. Poi, piano piano ho iniziato i primi passi, ho fatto la mia gavetta, cominciando dalla sala di montaggio. Speravo di cimentarmi alla regia con una storia tutta mia e alla fine ci sono arrivato. Sapevo quello che mi aspettava, perché avevo fatto l'assistente (Non pensarci, serie televisiva di Gianni Zanasi, ndr) e l'aiuto su vari set, non se sarei stato in grado di reggere un progetto così complicato, che comportava tre paesi e sei mesi di lavorazione.
Qual è stata la cosa che proprio non ti aspettavi?
Sicuramente, il fatto di trovarsi a contatto con delle culture diverse come quella sudamericana e con un modo di lavorare distinto è stato difficile, ma è stato bello a posteriori, scoprire di essere in grado di poter stare e di dirigere una truppa a chilometri da casa e alla prima esperienza. Su un set nascono relazioni e forze che permettono di superare mille cose. Ecco, questa salvezza si è creata tra gli attori italiani e quelli cileni in un modo che non mi aspettavo. Tutti, colpiti dalla sceneggiatura, si sono dati al 100% per la buona riuscita dell'opera.
Mi affascinava il desiderio un po' presuntuoso da parte di un ragazzino di portare vicino a sé il fratello maggiore, dopo essersi liberato dai vincoli e lanciandosi in un'avventura. Di poter insegnare ad una persona più adulta la bellezza della libertà, bellezza che forse questa persona ha perso o non ha più potuto provare, perché sopraffatto dalle responsabilità. Questo scambio di forze che può venire tra due fratelli di età diversa, il minore che vorrebbe insegnare qualcosa al maggiore.
Quello che mi ha colpito di più, vedendo il film, è stata la totale assenza di morbosità; probabilmente qualcun altro avrebbe cercato di calcare la mano sul tema dell'omosessualità, trasformando il film in un'opera sull'argomento, questo invece non succede. E' stato voluto sin dall'inizio, già dalle fasi di scrittura?
Sì, certo. Devo dire che mi sono fatto tantissime domande e ho cercato a lungo di capire come avrei potuto affrontare il tema dell'omosessualità in modo più onesto possibile; quando Davide trova un coetaneo e un ambiente, una città come Santiago Del Cile, dove la sua identità non è più una questione cardine, niente di scandaloso o antipatico, tutto si stemperava, acquistando il suo giusto peso. Secondo me la chiave giusta del film era raccontare questo meccanismo. Speravo che il tema non diventasse una roba morbosa incentrata sull'attività sessuale tout court.
Il Sudamerica, in particolare il Cile, sembra essere un personaggio aggiunto del film, e non solo come location, credo. C'è una forza in queste popolazioni, una volontà di cambiare concretamente le cose che non vanno, a cui noi Europei dovremmo davvero ispirarci. Ti sei lasciato contagiare da questi fermenti culturali?
Sì, ed è stato esattamente il Cile a ispirarmi, il constatare quanto tra i ragazzi fosse forte questo impegno civile, un elemento che risaltava ancora di più nel momento in cui raccontavamo una storia di provincia. Nel nostro paese, dove l'interesse per qualcosa che trascende non c'è, sento sempre di più l'odore di chiuso. Invece al di là dell'oceano ci sono paesi dove a sedici anni si inizia a partecipare alla vita civile e si sviluppa dentro di sé una forza maggiore di chi non deve essere concentrato soltanto ad affermare la propria identità, in questo caso sessuale. Questo ha fatto prevalere il Cile sull'Argentina ad esempio, dove avevamo considerato di ambientare il viaggio. Anche l'Uruguay è una realtà da citare, meravigliosa.
Loris è indubbiamente una vittima del sistema, rispetto alle possibilità e a un orizzonte di vita che ci sono per il fratello più piccolo e che esplodono quando il ragazzo ha la forza e il coraggio di ribellarsi; Loris è un personaggio pieno di qualità, ha rinunciato alla sua adolescenza, ha deciso di fare una vita piena di responsabilità, ma viene oppresso dal bisogno di controllare le cose e le persone e di preordinarne la vita, imponendo al ragazzo cos'è giusto per lui. Quando viene liberato da questi lacci, lo vediamo come uno splendido quarantenne alla deriva, una deriva che gli fa ritrovare quello che non è riuscito a vivere nei tempi giusti.
Hai avuto l'opportunità di lavorare con due giovani attori talentuosi, Filippo Scicchitano e Luca Marinelli, hai subito pensato a loro come protagonisti?
Sono contento che vengano apprezzati anche nel mio film, sono fantastici. No, in realtà non ho pensato a loro quando mi hanno dato il via libera al progetto, ma l'arrivo al loro nome è stato molto veloce. Luca era un attore che conoscevo, lo avevo visto nel film di Paolo Virzì in cui ne avevo apprezzato lo spirito brillante, e siccome era all'estero e non vedevo l'ora di incontrarlo, ho dovuto attendere che fosse libero e disponibile. Quando ci siamo incontrati, lui aveva letto la sceneggiatura, ci siamo trovati subito a nostro agio e lì ho detto, è lui. Filippo invece lo conoscevo già, ma visto che volevo ambientare la storia in questo nuovo nord-est, ed essendo Filippo romano fino al midollo, ci siamo incontrati prima e ne abbiamo parlato a lungo. Poi non ho avuto più dubbi che lui potesse farcela; quando hanno fatto il loro provino assieme, non ce n'è stato più per nessuno. Nel momento in cui erano assieme, erano veramente potentissimi.
Altra figura affascinante è quella di Lucho, il 'tassista' cileno che aiuta Loris a cercare suo fratello, interpretato da un gigante come Alfredo Castro. Ci racconti come sei riuscito a contattarlo?
Non è stato difficile, il casting in Cile non credeva che fosse quello giusto, ma lo avevo conosciuto attraverso i film di Pablo Larraìn e quello di Daniele Ciprì, E' stato il figlio, e lui che in Cile è considerato un top, è stato interessato sia al progetto che al fatto di partecipare alla scrittura di quello che di personale viene fuori da questo tassista, che racconta il periodo della dittatura. Quindi grazie a questa collaborazione è stato tutto molto facile.
Avrei la speranza che possa essere un film che interessi anche una fascia molto giovane di pubblico. Mi piacerebbe che riguardo al tema dell'omosessualità e dell'omofobia, qualcuno, anche con un tranello possa dire a un suo genitore o a un suo amico, ho visto un film, torna con me a vederlo e che l'esperienza della visione possa essere più importante di tante parole. E poi spero che anche un pubblico di persone della mia età possa trovarlo interessante.
Stai lavorando ad un altro progetto?
Sto già lavorando al prossimo progetto che pensavo sarebbe stato il progetto nel cassetto, un film che tengo conservato da due anni, ma ho voglia di raccontare un'altra storia e per adesso mi sento interessato a continuare così. Altrimenti aprirò quel cassetto e si vedrà.