A scuola con Cantet

Il regista francese ci parla del film che ha vinto la Palma d'Oro a Cannes 2008, senza tacere sulle polemiche riguardanti il mondo della scuola pubblica, che però non hanno avuto effetti tangibili sull'inaspettato successo di pubblico ottenuto in patria.

Ha avuto luogo nella suggestiva cornice di Palazzo Farnese il primo degli incontri romani di Laurent Cantet, che con infinita pazienza si è prestato a rispondere alle numerosissime domande dei giornalisti su La Classe - Entre les murs, film meritatamente premiato a Cannes 2008 con la Palma d'Oro.
Come dicevamo poc'anzi, la conferenza stampa che si è svolta martedì 7 ottobre dopo la proiezione della pellicola è stata particolarmente ricca di interventi, ai quali Cantet ha replicato con cortesia ed attenzione, anche se va detto che la curiosità dei presenti si è focalizzata fin troppo sulla natura dei problemi scolastici in Francia e altrove, lasciando forse in secondo piano le considerazioni più strettamente cinematografiche.
Tralasciando magari gli scambi di battute più estemporanei, come quello in cui il regista francese ha negato di conoscere l'operato del ministro Germini in Italia (beato lui, in un certo senso), tentiamo ora un sintetico resoconto di quanto si è detto a Palazzo Farnese.

Tanto per cominciare, come sta andando il film in Francia? Il riscontro di pubblico che sta ottenendo può considerarsi positivo?

Laurent Cantet: Senz'altro. Direi anzi che la pellicola sta avendo un riscontro per me imprevedibile. Entre les murs è uscito in Francia nella seconda metà di settembre, con circa 370 copie. Ora è distribuito in più di 500 copie ed è stato visto da più o meno 600.000 spettatori nei primi dieci giorni. Tutto ciò sta accadendo anche grazie al passaparola, ma quel che realmente mi soddisfa è che i più giovani, gli adolescenti, stiano andando a vederlo, riempiendo le sale specialmente il sabato e la domenica. Hanno capito che questo film non li rappresenta negativamente, ma tenta di rendere in maniera giusta la situazione di quella fascia d'età.

Il suo film può dare l'impressione che il melting pot nella scuola francese cominci ad accusare qualche colpo, è veramente così?

A dire il vero non avevo affatto la pretesa di rappresentare la scuola francese nel suo complesso, ci si può fare questa idea perché nelle periferie dove abbiamo girato, il 20. arrondissement parigino, la situazione con cui ci siamo confrontati si presenta così, con una composizione etnica estremamente variegata. Dopo aver attivato alcuni laboratori abbiamo conosciuto un certo numero di studenti, preso i quali è partita una selezione basata sulla volontà di continuare o meno la collaborazione, per cui il gruppo si è poi ridotto a 25 ragazzi, quelli che vedete nel film.
Tentando di fare un quadro più generale, è forse il caso di ricordare che nel 1975 vi è stata una riforma in Francia per cui la separazione dei percorsi scolastici non sarebbe più avvenuta intorno agli 11 anni, sicché la possibilità di frequentare lo stesso tipo di scuola sarebbe stata data a tutti fino ai 14-15 anni. In effetti quando io ero studente l'ambiente scolastico era molto diverso, incontravo quasi solo ragazzi con la mia stessa origine, il che rendeva la visione del mondo limitata.
Quanto ai ragazzi che compaiono nel film, tutti tranne il cinese Wei, che è arrivato di recente e conosce poco la lingua, risultano scolarizzati in Francia, dove sono nati o dove hanno comunque vissuto i loro anni di studio.

Come ha lavorato per ottenere una rottura con gli stereotipi, che solitamente caratterizzano il mondo adolescenziale nel cinema?

Dunque, innanzitutto i metodi di insegnamento che ho voluto mostrare nel film non rappresentano l'unica via, volevo solo creare il pretesto per affrontare certe discussioni che riguardano gli studenti in modo democratico.
Sicuramente c'è stato un grande lavoro preparatorio. Dal mese di ottobre fino a giugno abbiamo allestito questi atelier, laboratori cui partecipava il gruppetto ridotto a 25 elementi cui avevo accennato prima; in tal modo ho avuto la possibilità di confrontarmi con la personalità di ciascuno di loro.
Non posso dire cosa pensino gli adolescenti in genere, ma ho un'idea abbastanza precisa del carattere di Esmeralda, di Soluleymane, di Cherif, e degli altri con cui ho trascorso questo periodo.

Durante questo lavoro cosa ha appreso di nuovo sulla cultura giovanile, sullo stile di vita delle ultime generazioni?

Ciò che di questi ragazzi mi ha colpito è stato il loro coinvolgimento nella realizzazione del film. Nonostante si dica spesso della loro generazione che sono svogliati, apatici, senza iniziativa, hanno profuso un impegno di diverse ore al giorno, riuscendo ad amalgamare i miei consigli con l'improvvisazione.
Gli insegnanti che compaiono nel corso della pellicola, e che sono veramente i loro insegnanti, qualche volta erano persino invidiosi nel vedere quanto fossero attenti e concentrati gli allievi con me!

Tra le critiche che il film ha ricevuto in Francia vi è quella di arrivare fuori tempo massimo, rispetto alle ultime contestazioni del sistema pubblico transalpino. Cosa ne pensa? E come valuta i casi limite come il recente suicidio di un insegnante, episodio che ha avuto altri precedenti, in tempi non così lontani?

Il dibattito sul mondo della scuola in Francia si trascina ormai da parecchio, per cui l'uscita di un film come questo è più che altro il pretesto per riaccendere discussioni datate.
Per quanto riguarda la questione dei suicidi ritengo che oggigiorno la vita sia diventata più difficile per tutti, ne risentono i professori, così come ne risentono gli alunni. Ci si deve confrontare di continuo con problematiche che riguardano non solo la vita scolastica, ma anche e soprattutto quello che succede fuori.

Si aspettava le polemiche all'uscita del film, in qualche modo speculari rispetto a quelle che hanno accompagnato la pubblicazione del libro?

Se mi aspettavo questo genere di discussioni? Un po' me lo aspettavo, perché quando è uscito il romanzo di François Bégaudeau ci sono state polemiche, che per la risonanza mediatica di cui può beneficiare un film sono risultate nel mio caso persino più ampie. A parte l'ostracismo a priori di qualche insegnante che di fronte agli intervistatori ha dichiarato di odiare il film, pur non avendolo visto e avendo letto solo poche pagine del libro, le accuse che mi vengono mosse tendono ad essere ripetitive; mi si rimprovera per esempio di privilegiare i momenti di discussione tra studenti e professori rispetto alle lezioni, ma quel tipo di confronto corrisponde proprio agli aspetti che mi incuriosivano di più, e che volevo trasmettere.

Nella sua filmografia, basterebbe a dimostrarlo un titolo come Verso il sud, il discorso sull'integrazione è sempre presente. Non si sente un po' solo, nel panorama cinematografico francese, ad affrontare tematiche come queste o come quelle legate al lavoro, prese di petto in pellicole come Risorse umane e A tempo pieno?

In realtà la forza del cinema francese attuale risiede, a mio avviso, nella sua diversità, nella molteplicità di sguardi. C'è spazio per film come i miei così come c'è spazio per un Arnaud Desplechin. Sicuramente c'è una certa affinità tra il mio lavoro e quello di registi come Abdel Kechiche, tant'è che la tendenza ad aggredire il reale attraverso il cinema è sempre più sviluppata, almeno da noi. Ma va detto che anche fuori dai confini francesi percepisco urgenze simili alla mia, ad esempio quella che ha spinto un cineasta come Garrone a realizzare Gomorra, davvero notevole nell'estrapolare dalla realtà gli ingredienti che ne rendono così forte l'impatto.