La provocatoria maglietta rossa indossata da Adriano Panatta e dal compagno di squadra Paolo Bertolucci durante la finale di Coppa Davis che l'Italia disputò a Santiago contro il Cile di Pinochet è entrata nella storia quel 18 dicembre del 1976, ma forse in pochi la conoscono davvero. Era quello un momento in cui in Cile imperversava l'oppressiva dittatura di Pinochet e in Italia si organizzavano cortei e manifestazioni contro la retorica nazionalista dello sport a suon di slogan forti come "Pinochet sanguinario, Panatta miliardario" atti ad incitare le Istituzioni (politiche e sportive) a boicottare quella finale in segno di protesta contro il regime del generale Pinochet. Un periodo storico pieno di fibrillazioni socio-politiche e di nuove idee che Mimmo Calopresti ha voluto raccontare e omaggiare nel suo documentario La Maglietta Rossa (del quale è anche co-sceneggiatore), cinquanta minuti in cui si racconta la rivincita di Panatta che tornò vincitore insieme ai suoi compagni di squadra con immagini di repertorio dell'Italia di quel periodo alternate alle pochissime riprese esistenti di quella famosa partita (che furono girate da un videoamatore e non dalla televisione nazionale) e a brevi parentesi narrative in cui l'Adriano nazionale insieme all'amico Paolo Villaggio ricorda quei magici e indimenticabili momenti della sua vita. Un ritratto appassionato e lucido in cui si alternano ai momenti più gloriosi della carriera sportiva di un atleta a suo modo rivoluzionario che si è sempre dichiarato di sinistra e quelli di un paese travolto da importanti cambiamenti. Presenti all'incontro con la stampa nel giorno della proiezione pubblica del film il regista Mimmo Calopresti, il protagonista Adriano Panatta, Paolo Villaggio, i produttori del film (tra cui troviamo anche la Regione Lazio, rappresentata oggi dal Segretario Generale Francesco Gesualdi) e i rappresentanti di Cinecittà Luce che si occupa della distribuzione del film in Italia e all'estero, che sia in televisione o in home video, ad eccezione delle sale cinematografiche.
Signor Calopresti, com'è nata l'idea di questo progetto che omaggia la carriera di un grande nome dello sport italiano?
Mimmo Calopresti: L'idea di un documentario che mi desse la possibilità di raccontare la storia di un campione che non aveva paura di nulla e che con quella maglietta rossa addosso sfidò in modo provocatorio un regime e la retorica collettiva di quegli anni. Ho usato tutto quello che avevo, le uniche immagini di quella partita sono state riprese da un videoamatore e finalmente renderle pubbliche a tutti, In questo modo ho avuto la possibilità di recuperare anche un'epoca, un momento storico fatto di contestazioni, di rock, di movimenti giovanili e di tante altre cose belle.
Com'è avventuto l'incontro con Panatta?
Mimmo Calopresti: Lo ricordo molto positivamente, quello che mi ha sorpreso di lui oltre a questa affascinante storia della maglietta rossa è stato il suo amore per il Cinema, una cosa fondamentale per un regista. Un giorno parlando mi disse che quando era ragazzo il cinema lo aiutava a tenersi saldamente ancorato all'attualità e ad informarsi sulla cronaca mondiale. Lui non si rende conto ma all'epoca della famosa partita, quando tornò trionafatore dal cile insieme ai suoi compagni era considerato un vero eroe popolare, uno che in barba ai conformismi si presentava in campo con i suoi basettoni ed i capelli lunghi, come le rockstar di quei tempi. Un grande campione con i suoi pregi e i suoi difetti, che incarnava nella sua figura tutte le contraddizioni dei giovani di quegli anni. Personalmente ero uno di quelli che andò a manifestare contro di lui affinchè la partita non si giocasse ma ero un suo grandissimo tifoso, dentro di me speravo che giocasse e vincesse.
Cosa vediamo di davvero inedito in questo documentario?
Mimmo Calopresti: In primis c'è il Duce 'proibito' che prova a giocare a tennis, fotografie inedite appartenenti ad un libro fotografico che egli non voleva venissero pubblicate, molte immagini di repertorio si riferiscono poi agli anni '70, all'ossessione di Panatta che non ha mai più potuto vedere le immagini di quella sua partita con indosso la famosa maglietta rossa e una sua esclusiva lezione di tennis, a mio avviso il passaggio più importante del film, il suo modo di raccontare lo sport che lo ha visto trionfare da un punto di vista strettamente tecnico e tanto altro. La pellicola, nelle foto e nei film, inchioda la Storia e non permette che venga dimenticata ed io volevo evitare proprio questo, che questo episodio venisse dimenticato. E poi c'è il Cile durante la reggenza di un vero dittatore come Pinochet, i campi di concentramento, un'Italia che negli anni '70 attraversava un momento politico 'intelligente' e felice, cosa che qualche anno dopo si è completamente perduta per arrivare fino allo sfacelo contemporaneo.
Perchè la scelta di Paolo Villaggio come compagno di viaggio?
Mimmo Calopresti: Paolo quel mondo l'ha vissuto, ha girato intorno ai circoli sportivi e intorno al tennis e come lui giravano attorno a questo sport un sacco di attori, registi, cantanti e vip in generale, personaggi che giocavano a tennis e altri che facevano finta di giocare come il suo amico Ugo Tognazzi, uno che non se la cavava proprio benissimo.
Paolo Villaggio: Io sono qui unicamente perchè mi lega ad Adriano un enorme, vero e sincero affetto per Adriano, una magnifica persona dalla grande personalità.
Cosa pensa Adriano Panatta di questo omaggio a lui idedicato?
Adriano Panatta: Ho visto qualche giorno fa il film per la prima volta, è riuscito a cogliere dei momenti importanti della mia vita e di quella del nostro Paese. Ho trovato molto belli i momenti che nel film condivido con Paolo Villaggio, in cui gli faccio da spalla ricordando quegli anni meravigliosi, il tutto intramezzato da passaggi repentini di immagini di repertorio delle teche Rai e dell'Istituto Luce a quelli della mia lezione di tennis. E' stato molto divertente e inusuale per me vedere me stesso in quel ruolo sullo schermo.
Come si ritrova la Regione Lazio a produrre un film come questo?
Francesco Gesualdi: La Regione è ormai da tempo diventata protagonista nel sostenere il cinema e prodotti televisivi italiani. Quel che ci ha spinto a co-produrre questo progetto è stato l'amore per un atleta romano che ha rappresentato l'Italia e con i colori nazionali ha vinto dappertutto ed in secondo luogo per il rapporto di stima che ci lega alla compagina che ha prodotto questo fim, al teatro Ambra Jovinelli e agli amici di Cinecittà Luce.
Cosa ricorda di quel giorno della finale? Che sensazioni ha provato nel rivedere la sua discesa in campo con indosso quella maglietta rossa?
Adriano Panatta: Ricordo che ero molto frastornato e che ero anche esausto per il clima che si era creato intorno a quel match. Non è stato nulla di preparato, non mi sono portato dall'Italia quella maglietta con lo scopo di fare scalpore, è stato tutto deciso lì per lì. Eravamo a Santiago, durante la Coppa Davis si gioca solo di venerdì, sabato e domenica e prima del doppio che dovevo disputare in coppia con Paolo Bertolucci sono uscito e ho comprato quella maglietta dicendogli: "ce l'hai tu una maglietta rossa per giocare?". Lui mi guardò esterrefatto dandomi del pazzo furioso ma poi ha sposato la mia manifestazione pacifica e mi ha seguito. Per i primi tre set l'abbiamo indossata poi eravamo troppo sudati e ne abbiamo messa una di ricambio azzurra. Credo di aver esternato la mia idea in quel momento, ne sentivo il bisogno e credo an l'ho fatto senza pensare troppo al poi. Al mio ritorno avevo in mano tutto quel che desideravo, la coppa e la stima dei miei tifosi, non avrei potuto desiderare di meglio.