40 secondi. Tanto basta per cambiare la vita di un ragazzo di 21 anni. Come non intitolare in modo così secco ed efficace un film di forte denuncia, come quello di Vincenzo Alfieri, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e poi dal 19 novembre in sala.

La provincia italiana, tra Roma e Latina, è già stata al centro di alcuni titoli recenti (come Prisma e Adorazione), ma qui ciò che emerge è la casualità beffarda, la banalità del male che diventa protagoniste tra le pagine di cronaca nera.
40 secondi: quattro prospettive in un solo film
Vincenzo Alfieri, raccontando la drammatica storia vera, basandosi sul libro di Federica Angeli, utilizza i quattro punti di vista delle persone coinvolte che portarono al tragico evento. 24 ore di vita, partendo dal Maurizio di Francesco Gheghi (sempre bravo) che innescò, indirettamente, la brutale violenza dei "Gemelli" solo per (non) aver fatto un commento esplicito ad una ragazza, Michelle (Beatrice Puccilli), dopo una serata in discoteca.

Accanto alla tensione, la frustrazione scaturita dalla provincia. Ragazzi e ragazze che vogliono lasciare una realtà circoscritta perché ambiziosi e desiderosi di "qualcosa di più". E poi quelli che invece stanno bene dove stanno, e non vorrebbero essere giudicati.
I temi del film: la società patriarcale del possesso

40 Secondi intreccia due tematiche fondamentali: da un lato la casualità e le coincidenze che hanno condotto al dramma, ben espletate dalle quattro prospettive di narrazione messe in campo: Maurizio, Michelle, i due gemelli Federico e Lorenzo (Giordano Giansanti e Luca Petrini, risultato di street casting per donare autenticità al racconto) che pestarono a sangue Willy Monteiro Duarte (Justin De Vivo), protagonista coi suoi sogni e le sue grandi speranze. Aver scelto di raccontare Willy solo alla fine crea un climax narrativo efficace, soprattutto fa capire quanto il suo intervento nella faccenda fosse amichevole, "esterno" e puramente casuale.

Dall'altro lato il maschilismo che dilaga in tutta la società contemporanea, ma che in una realtà più piccola come la provincia dove tutti si conoscono viene fortemente acuito. Complici anche i social media e le situazioni familiari spesso disfunzionali e disastrose che ragazzi e ragazze si portano dietro. Il possesso verso le donne; il credere di avere solo diritti e nessun dovere nei loro confronti; il pregiudizio razziale e di genere sono tutti elementi che ben esprimono la diseducazione affettiva e la confusione intellettuale che spesso hanno le nuove generazioni. Nessuno li hai mai indirizzati negli anni cruciali dello sviluppo, creando rivalità e tensioni latenti destinate prima o poi ad esplodere.
Una drammatica storia vera ad alta tensione
La scrittura di Vincenzo Alfieri è fatta di dialoghi fiume perché è così che i ragazzi si sentono: pieni di sentimenti che non riescono a spiegarsi e a gestire, oltre al rapporto con l'altro sesso, arrivando a scintille fatali come quella di questa drammatica vicenda. Un film necessario, in cui il montaggio dei quattro punti di vista diviene fondamentale, per un monito sociale importante: ci vuole educazione emotiva e non solo sessuale, tanto per i ragazzi quanto per le ragazze. Non solo: la criminalità sembra essere l'unica via possibile per queste piccole realtà. Anche questo mito va sfatato e va iniziato a cambiare dai piccoli gesti, che possono fare la differenza col tempo; come in una sorta di effetto farfalla, benefico. Per non arrivare a brevissimi momenti, come quelli del titolo, destinati a cancellare un'esistenza ancora tutta da vivere.
Conclusioni
40 secondi è un film secco e asciutto su una drammatica storia vera. Necessario anche se forse leggermente ridondante, su una realtà patriarcale come la provincia che a causa di una serie di terribili coincidenze ha visto concludersi la vita di un ragazzo poco più che ventenne negli anni del Covid ma per un avvenimento che nulla centrava con la pandemia in corso. La pellicola si concentra proprio sulla banalità del male, sul maschilismo dilagante e amplificato nella realtà provinciale e su quanto dovremmo dare peso anche ai piccoli gesti, non solo a quelli più grandi, perché chissà dove possono portare: al bene ma anche al male.
Perché ci piace
- La costruzione delle quattro prospettive narrative.
- La caratterizzazione dei personaggi, anche se un po' sopra le righe.
- Il montaggio.
- Il tema della frustrazione giovanile e della provincialità patriarcale.
Cosa non va
- Non è chiarissima dall’inizio la frustrazione dovuta alla pandemia.
- Forse la vita che Willy avrebbe potuto vivere è un elemento troppo enfatizzato, anche se tipico della cronaca.