Un presente che non si può ignorare
Un immobiliarista sommerso dai debiti decide di evitare pignoramenti e carcere intestando le sue società fallimentari al proprio figlio. Potrebbe benissimo essere la realtà, e invece è un film. Pupi Avati, fatto nuovo nella sua cinematografia, abbandona le storie al passato e si getta prepotentemente nello squallore della società contemporanea, inasprendo i toni che, sebbene non siano mai stati del tutto indulgenti nei confronti delle miserie umane, qui denunciano uno stallo etico senza precedenti.
Certamente ispirato da recenti fatti di cronaca, Avati incentra la storia sulla figura di Luciano Baietti, aspirante faccendiere che realizza i propri sogni di denaro e potere facendosi intestare tutti i beni della moglie, abbandonata il giorno delle nozze con due figli piccoli a carico, e affidando l'amministrazione della propria fortuna a un commercialista d'assalto (a tutti noto come "Il Professore"), tanto spregiudicato negli affari quanto ipocondriaco e nevrotico nel privato. Ma dopo quindici anni di successi, Luciano e la sua piccola cricca di collaboratori, veri o presunti, vengono messi alle corde dalle indagini sempre più pressanti della Guardia di Finanza, vicinissima a scoprire i maneggi e gli scambi di favori su cui l'impero immobiliare di Baietti è stato costruito e sostentato. E quando nemmeno un matrimonio politicamente favorevole sembra poter salvare la situazione, l'astuto commercialista partorirà la più squallida delle scappatoie: trasferire tutte le società al figlio minore di Luciano, Baldo, cresciuto dalla madre, incapace di vedere le malefatte dell'ormai ex marito, nel culto della figura paterna, e nella convinzione che, prima o poi, quell'uomo sfuggente ed egocentrico sarebbe tornato per cambiare la vita alla sua famiglia.


Avati si è sempre schierato dalla parte dei piccoli, degli ingenui, anche dei perdenti, mettendone in luce la genuinità, la valenza positiva, e in questo caso non poteva per forza di cose essere altrimenti. Il confronto con gli aspetti più crudeli della realtà, una realtà a cui per primo il regista, da sempre indifferente a scandali e polemiche, ha dovuto rispondere con forza, è per essi impietoso: eppure, anche nel suo film più cinico, forse Avati un po' di pietas la concede anche ai propri cattivi. Luciano e Il Professore sono sordidi, abietti, ma la loro cattiveria è talmente ovvia che forse non sa quasi di essere tale. Ma siamo sicuri che nei furbetti che monopolizzano le colonne di cronaca, che giocano con il futuro delle persone come se fossero semplici numeri, non ci sia una ben diversa, e più responsabile, consapevolezza?
Movieplayer.it
3.0/5