Il meraviglioso orrore dell'infanzia
L'infanzia è un igloo di solitudine, un viaggio in mare aperto alla scoperta del mondo, un bosco abitato da gigantesche creature affamate, terrorizzate dal fantasma della tristezza. In essa l'immaginazione e la fantasia esplodono come non sono poi più capaci di fare quando l'età adulta sopraggiunge. Tradurre in concreto quel che abita la mente dei più piccoli è impresa ai limiti dell'impossibile, perché nella stessa operazione di saccheggio di questi intimi e vibranti territori va perduta inevitabilmente la purezza che li contraddistingue e che si intreccia ogni volta all'orrore che domina il mondo e che contamina in fretta ogni cucciolo d'uomo. Appare così come un vero miracolo Nel paese delle creature selvagge, opera incantevole che distilla in poesia per immagini, musica e ululati il celebre libro illustrato di Maurice Sendak che da oltre quarant'anni coltiva le generazioni più tenere con la storia del piccolo e pestifero Max che fa di una punizione la sua più incredibile avventura. Con un piglio originale senza paragoni e una capacità visionaria mai spocchiosa, l'adattamento di Spike Jonze fa tremare di emozione, e nello stesso tempo scalda il cuore, scarabocchiando sul grande schermo quel che si agita negli incubi e nelle possibilità infinite dell'infanzia.
C'era parso di intravederlo nei suoi precedenti lavori, ora finalmente troviamo definitiva conferma: Spike Jonze è un artista che sa far magie, trasformando in oro e fiori tutto quello che tocca, senza far stonare la sua creativa personalità nelle sfide estreme che sceglie di affrontare. Per entrare nell'animo di un bambino di nove anni dalla fervida immaginazione, prende in mano la camera e si lancia con lui per le scale, all'inseguimento di un cane, l'osserva curioso mentre lecca la neve, lo accarezza quando la solitudine lo costringe in quei fortini che si costruisce con passione. Del suo carattere selvaggio e di una situazione familiare in critico equilibrio tra amore e indifferenza, ne danno conto una serie di formidabili pennellate che colorano e accalorano il cuore dell'opera: il viaggio di Max nel paese delle creature selvagge, che non sono altro che espressione in formato maxi degli istinti, dei sentimenti e delle paure che lo caratterizzano, rendendolo l'essere unico che è. Ed è inutile cercare in questo innovativo volo della fantasia la storia perfetta, una sceneggiatura di ferro che proponga la solita impeccabile cavalcata del racconto di formazione. Perché il film di Jonze si mantiene costantemente immerso nell'immaginario del suo protagonista, che sa inventare solo favole imperfette, avventure in divenire, definite essenzialmente dalle atmosfere, accartocciate in una cupezza inquietante, o rese ariose dallo stupore che accompagna ogni scoperta.Oltre ad essere il parto dell'estro di Jonze dopo l'accoppiamento con le intuizioni di Sendak, Nel paese delle creature selvagge è anche l'opera struggente di un formidabile genio quale Dave Eggers, co-sceneggiatore con la sensibilità giusta per farsi cantore dell'età più delicata. Le loro incredibili trovate e l'approccio originale mantenuto anche negli snodi più classici, confezionano un film che gioca molto sugli stati d'animo, dei personaggi che lo abitano e degli spettatori che lo guardano. L'umanità che pervade la pellicola è evidente dietro ogni sua virgola, nell'incontro fecondo tra tenerezza e tenebre, nella confusione tra realtà e fantasia. Questa continua ricerca del realismo all'interno di un racconto fantastico ha portato il regista a limitare l'utilizzo di effetti speciali nel dar vita alle creature che fanno di Max il proprio re per poi sfidarne le capacità di essere guida e modello. Ad interagire col piccolo Max Records (un volto destinato a restare scolpito nei nostri ricordi) sono infatti degli enormi pupazzoni le cui espressioni facciali sono poi state sapientemente modificate al computer per fornir loro le adeguate emozioni. L'effetto è strabiliante, anche in questo caso imperfetto eppure mai così vero e toccante. La paura di un Sole destinato a spegnersi, fa sprofondare poi la fotografia nell'oscurità, avvolgendo continuamente l'azione nelle tenebre o permettendo al regista un'incredibile dialogo con i raggi dello stesso sole al tramonto: immagini che lasciano a bocca aperta per la loro straordinaria bellezza.
Nell'errare del piccolo uomo vestito da lupo in una terra divisa tra una natura rigogliosa e l'aridità del deserto, si esprime la personalità, la doppia anima del protagonista: la carica entusiastica e selvaggia della sua età, la sua profonda solitudine. Una solitudine che il film di Jonze tenta disperatamente di combattere, mettendo in scena il concetto stesso di tristezza, giocando alla guerra pur di farlo saltare, facendo della sconfitta una vitale scintilla da cui ripartire. La sua regia s'inzuppa nello sguardo limpido del piccolo Max, ammantandosi dela sua poesia, per lasciarsi andare spesso a inquadrature dal sapore della leggenda che sembrano tavole di un libro di illustrazioni: il viaggio in barca sotto un cielo che trabocca di stelle, la vita che sboccia nel colore dei fiori, la testa che sbuca nel modellino della città ideale, il nascondiglio all'interno del corpo della creatura selvaggia più tenera, tutto questo toglie il fiato. Le splendide canzoni di Karen O, leader degli Yeah Yeah Yeahs ed ex compagna di Jonze, si infilano poi prepotentemente nel racconto, restandone fuori ma sublimandolo, arrivando a dare la carica al piccolo protagonista, impegnato a superare le perplessità per le difficili decisioni che è chiamato costantemente a prendere. Sull'infanzia è stato già detto tanto, troppo, ma mai con una tale forza e un simile tocco magico e aggraziato come in questo caso, scevro da ogni retorica. Nel paese delle creature selvagge è quel film che il bambino dentro ognuno di noi aspettava da tutta la vita.