Il bluff dell'orchestra che voleva tornare a sognare
Fin dagli inizi il suo cinema è stato caratterizzato dal tema dell'impostura, messa in atto dai protagonisti delle sue storie per raggiungere la salvezza in un mondo che tendeva ad annientarli. Recuperando e amplificando l'umorismo di Train de vie - Un treno per vivere, Radu Mihaileanu torna ora a costruire una commedia dell'inganno a fin di bene, partendo dalla Russia dei giorni nostri, dove le manifestazioni comuniste sono costrette a pagare delle comparse per avere un pubblico, per giungere infine a Parigi, il luogo dove le culture si incontrano e si scontrano, dove lo scambio si fa possibile, nonostante le differenze. Stavolta il viaggio messo in atto dal regista rumeno, francese d'adozione, nel suo divertente e toccante Il concerto è mosso dai sogni, dal bisogno di riscatto di un gruppo di uomini a cui è stata rubata la dignità trent'anni prima, da un regime che come al solito tende a soffocare le idee più pericolose e non si ferma neanche di fronte all'arte, e dalla necessità del perdono di un uomo che per rincorrere il suo di sogno aveva destinato una donna alla follia.
E' un cinema potente quello di Mihaileanu, in grado di maneggiare con estrema abilità un'esplosione di elementi, folgorazioni, temi importanti e acute considerazioni, che potrebbero facilmente spingere in direzioni diverse, portando al caos narrativo. Anche in questo caso, invece, riescono a legarsi insieme attorno a un'idea originale che si mantiene nel solco della commedia, sino alla rivelazione finale, dove al sorriso si sostituiscono gli occhi lucidi e una partecipazione emotiva ben sollecitata dalle corde del violino. Il concerto del titolo è quello di un gruppo di ex musicisti russi che si finge l'Orchestra Bolshoi per suonare Cajkovskij in un prestigioso teatro di Parigi. Ad organizzare il bluff un vecchio direttore d'orchestra, con una serie di conti aperti col proprio passato, finito a essere soltanto l'uomo delle pulizie del suo vecchio teatro col vizio dell'alcool, dopo un'umiliazione subita trent'anni prima. Il volo verso Parigi diventa così l'occasione per ognuno di loro di tornare a vivere, di risolvere i propri conflitti interiori e giocarsi una nuova chance col destino. Non manca certo il ricorso allo stereotipo nell'opera di Mihaileanu, ma il suo utilizzo è funzionale al discorso che il regista intende intavolare. Le figurine russe di cui si serve, che siano l'ex leader comunista che ancora sbandiera goffamente i suoi ideali o i perseguitati un po' folli decisi però a rimettersi in piedi, rappresentano un'umanità sincera e diventano espressione del fallimento di un movimento carico di colpe. Si torna poi a parlare di ebrei, seppure in maniera più leggera e coinvolgendoli in un'ironia che mette anche loro alla berlina, e si propone l'esperienza gitana e il suo enorme potenziale nell'incontro tra culture che il film propone. La Storia si rivela nel vissuto del singolo individuo, e questi torna inevitabilmente a dialogare con la collettività per trovare l'armonia, come mostrato dalla complementarietà del violino e dell'orchestra nel concerto che fa vibrare il film nella sua parte finale. La lunga sequenza che lo riguarda punta a toccare la nostra anima, dopo un percorso dominato dalla spensieratezza, ma risulta fin troppo didascalica per portarci alla commozione. L'amore che esprime per l'arte, però, e che ci lascia il piacere di godere di questo spettacolo, senza tagli, è invero più toccante del rigonfiamento di senso che il momento produce. Partendo da premesse così leggere, stona un po' l'eccesso melodrammatico di questo finale che propone inoltre un esaltante dialogo di sguardi tra i formidabili Aleksei Guskov e Mélanie Laurent. Non può che essere comunque un piacere assistere a un concerto così ben orchestrato, ci smuove i sentimenti, fa incontrare gioia e dolore, ricordandoci con grazia quanto la vita possa togliere e quanto invece possa regalarci.