Recensione La giusta distanza (2007)

La storia passa improvvisamente da momenti divertenti ad un plot più noir approntato con un linguaggio cupo e pseudo poliziesco; ma i i caratteri dei personaggi tratteggiati superficialmente e la loro rappresentazione spesso stereotipata riducono alla banalità il messaggio antirazziale del racconto.

Un giallo sbiadito

Un giallo con sfondo antirazziale e la storia di un buffo paesino veneto visto attraverso gli occhi di un giovane diciottenne con l'irrefrenabile voglia di raccontare tutto.
La giusta distanza è il primo film italiano in concorso alla Festa del cinema di Roma 2007 ed è con tutto il rammarico dei compatrioti che l'ennesima pellicola made in Italy presente ad un festival internazionale riesce a deludere.

Il protagonista, Giovanni (l'esordiente Giovanni Capovilla), è un ragazzo che vive nella routine del suo piccolo paese, Concadalbero, con l'ambizione del giornalismo. Curioso per natura, si sposta silenziosamente tra le dicerie cittadine indagando su un serial killer di cani.
L'attenzione dell'acerbo scrittore, come in effetti quella di tutti i suoi compaesani, si sposta presto su una nuova arrivata, Mara (Valentina Lodovini), una maestra in supplenza alla scuola elementare, che crea subito scompiglio nella calma piatta di quel luogo dimenticato da Dio.
Mara è molto attraente, ma quello che desta più scalpore è il suo atteggiamento e il suo spirito moderno. Alla sua presenza, tra i vari bizzarri personaggi del circondario, c'è chi si vergogna, chi volta lo sguardo, chi l'aggredisce di chiacchere e chi la comincia a spiare.

Il voyeurismo è frutto dell'irrefrenabile attrazione provata da Hassan (Ahmed Hafiene) che, una volta scoperto a guardare fuori dalla finestra di lei, riesce a trasformare il suo sentimento furtivo in una tenera dichiarazione che seduce la bella maestrina. Tra i due nasce una storia, ma l'idillio amoroso dura ben poco, interrotto da un evolvere degli eventi inaspettatamente tragico.
Il giornalismo diventa quindi d'inchiesta per Giovanni che, shockato personalmente dalla vicenda, si auto proclama investigatore del misterioso caso di omicidio. Non riesce a mantenere la "giusta distanza" dai fatti che racconta, ma è proprio grazie a la sua sentita partecipazione che la verità verrà sviscerata.

La storia passa improvvisamente da momenti divertenti dedicati agli stravaganti cittadini di Concadalbero, ad un plot più noir approntato con un linguaggio cupo e pseudo poliziesco. Mazzacurati tratteggia i caratteri dei personaggi superficialmente, presumendo che poche scene - purtroppo spesso mal recitate - possano bastare ad un'individuazione del singolo nella pluralità della storia. L'attenzione per la vita del giovane protagonista è quasi abbandonata nel corso del film, per concentrarsi sui personaggi di Mara e Hassan. La rappresentazione stereotipata di questo immigrato tunisino come l'uomo onesto, con tanto di famiglia cara e affezionata, che tenta di crearsi una pacata rispettabilità all'interno del nucleo paesano riduce alla banalità il messaggio antirazziale del racconto.