Recensione 8 donne e un mistero (2001)

Un po' giallo, un po' commedia, un po' musical: tante facce diverse per un film col sapore dolce del passato.

Un film d'altri tempi

Per due anni di seguito, il cinema francese si presenta al galà degli oscar con una rappresentanza femminile: prima la piccola Amelie de Il favoloso mondo di Amelie e poi questo 8 donne e un mistero, il cui il numero di donne protagoniste cresce fino ad otto.
I parallelo tra i due film è del tutto forzato, essendo totalmente diversi, ma questo punto di contatto desta piacevole curiosità.

8 donne e un mistero nasce da un'opera teatrale di Robert Thomas, portata sullo schermo con freschezza da François Ozon, avvalendosi dell'abilità di otto grandi attrici del cinema d'oltralpe.
L'impianto dell'opera resta prettamente teatrale anche nella sua trasposizione cinematografica, tanto da chiudersi con le otto protagoniste in linea, per mano, davanti alla platea del cinema.
Si questo palcoscenico cinematografico, si delinea un'abile miscela di giallo alla Agatha Christie (sul modello dei classici Trappola per topi o Dieci piccoli indiani) con commedie alla Luigi Pirandello, le vecchie commedie hollywoodiane anni '50 e un tocco di musical, il tutto condito da una forte dose di ironia.

L'impostazione da mistery è palese fin dalla trama: otto donne (sette in principio, ma subito raggiunte dall'ottava), bloccate in casa, telefono staccato, auto fuori uso e una vittima (l'unica presenza maschile del film, ripreso sempre rigorosamente di spalle) morto al piano superiore, accoltellato.
Ognuna di loro nasconde qualcosa e tutto il film è un continuo gioco di colpi di scena e sorprese che svelano gli intrighi, inganni e tradimenti delle otto protagoniste, fino alla classica sorpresa finale.

La tendenza da commedia, invece, si esterna nello sviluppo della vicenda, nei dialoghi e in quel non prendersi sul serio: sentimento che pervade tutti gli aspetti del film, dalla regia all'interpretazione delle singole attrici, con cenno particolare per il litigo tra Catherine Deneuve e Fanny Ardano che si trasforma in una scena d'amore lesbico da antologia.

Citare l'ambientazione anni '50 è fondamentale, perché il regista ha cercato di riprodurla in tutto e per tutto, non solo per quanto appare su schermo, dai costumi, alle scenografie, ma anche nel modo in cui questo avviene tecnicamente: infatti Ozon ha scelto tecniche di ripresa datate e soprattutto il Technicolor per dare un gusto retrò al film.
Si nota lo sforzo di ricreare lo stile fotografico dei film del passato, e i tentativi continui di riprodurre immagini che rievocassero quelle atmosfere nella mente dello spettatore, soprattutto nella prima parte: quindi set ben illuminati, con luce uniforme, in modo da mettere in evidenza colori, scenografie e costumi.
Questa impostazione sfuma leggermente man mano che il film procede ed è l'intreccio a focalizzare l'attenzione dello spettatore, ma non passa mai in secondo piano.
Il motivo di questa enfasi sulla tecnica è anche quello di sottolineare l'artificiosità di un set da teatro, con un ambiente chiuso circondato da un esterno palesemente fittizio, limitato a qualche albero e alla neve.

In tutto ciò sono inserite con maestria le otto canzoni cantate dalle attrici, una per ognuna di loro, accompagnate da coreografie vivaci.

Sicuramente un buon prodotto, fresco, nonostante l'impostazione classica, con uno sviluppo ricco di sorprese continue.
Un film riuscito, ben diretto e soprattutto ben recitato.

Movieplayer.it

3.0/5