Strange Days: i 25 anni di uno sci-fi d'autore

Il 23 febbraio 1996, usciva sugli schermi italiani Strange Days di Kathryn Bigelow, uno dei film di fantascienza più visionari e originali di sempre

Angela Bassett e Ralph Fiennes in una scena di Strange days
Angela Bassett e Ralph Fiennes in una scena di Strange days

Il conto alla rovescia verso il XXI secolo fornì un bel po' di materiale e di ispirazione al genere fantascientifico. Che cosa sarebbe stata la civiltà del XXI secolo? Cosa sarebbe cambiato? Cosa invece sarebbe rimasto uguale? La tecnologia ci avrebbe dominato oppure sarebbe stata l'ancora di salvezza per l'umanità? A molte di queste domande rispose Kathryn Bigelow, con Strange Days, ad oggi uno dei film di fantascienza più importanti di sempre, un vero e proprio capolavoro narrativo e visivo, che è stato capace di creare riflessioni di enorme attualità e profondità sul rapporto tra uomo e progresso, tra moralità e tecnologia. A 25 anni dall'uscita nelle nostre sale, Strange Days rimane un'opera capace di mostrarci l'incorreggibile fragilità umana e l'eccessiva fiducia nella società post-moderna.

Un decennio fatto di tecnologia e conflittualità

Angela Bassett con Ralph Fiennes in Strange Days
Angela Bassett con Ralph Fiennes in Strange Days

Per comprendere appieno Strange Days, occorre innanzitutto ricordarsi che cos'erano gli anni Novanta. Un decennio che ancora oggi in molti rimpiangono, probabilmente più che per la nostalgia dell'adolescenza o dei vent'anni, per la sensazione che fosse un'epoca molto più ottimista, positiva e progredita moralmente di questa. Sicuramente dopo gli anni Ottanta basati sul machismo, la cultura pop imperante, il consumismo e l'arrivismo, gli anni 90, con il crollo dell'URSS, la fine della Guerra Fredda e un clima politico più distensivo e progressista, cercarono di superare anche attraverso l'arte, la superficiale eredità del decennio che l'aveva preceduto.

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Una scena di Strange Days

Tuttavia, il profilarsi di nuove problematiche globali, il dominio della tecnologia nelle nostre vite, fu accompagnato da grandi paure, circa gli effetti di quest'ultima sulla moralità, la psiche e lo stesso ordine sociale. Davvero si poteva guardare al 2000 con fiducia? E "davvero gli anni 90 erano il Nuovo Rinascimento" si chiese il New York Times pochi mesi dopo l'uscita di questo film, di questo sci-fi fortemente connesso al cinema noir, che abbracciava un pessimismo totalizzante, struggente. Non ci si poteva fidare dell'uomo, della sua capacità di scegliere il bene piuttosto che il male, dato il suo inseguire un egoismo tossico, in una società selvaggia e brutale. Già la società. La società di quegli anni 90 ribolliva di odio razziale, di discriminazione di genere, era una società in cui flussi migratori, instabilità, la facevano comunque da padrone, mentre paure ataviche si risvegliavano con lo scoccare della mezzanotte dell'anno duemila. Si, gli anni 90 sono stati anni stimolanti e febbrili certo, ma su cui una patina ipocrita di ottimismo, nascose orrori ed errori, gli stessi che Kathryn Bigelow qui ci mostrò magistralmente.

Un'America strangolata da razzismo e rabbia

Ralph Fiennes e Angela Bassett in una scena di Strange days
Ralph Fiennes e Angela Bassett in una scena di Strange days

Un caso che la Bigelow ambienti Strange Days in una confusa, caotica e pericolosa Los Angeles? No. La Città degli Angeli era il vero e proprio simbolo dell'America (ma volendo anche dell'Occidente) degli anni 90. Nel bene e nel male. E quel male aveva un nome che ancora oggi tutti ricordano: Rodney King. King era un tassista che a seguito di un inseguimento protrattosi per 13 km dentro la città, venne infine brutalmente pestato da diversi poliziotti bianchi, nonostante fosse disarmato e assolutamente non pericoloso. Fu la miccia che fece scoppiare una serie di rivolte che sconvolsero l'America, un anticipo di ciò che è successo a seguito della morte di George Floyd. La Bigelow ci mostrò una metropoli futuristica dove il colore della pelle faceva ancora la differenza in modo preoccupante, dove la polizia era brutale e sadica, dove i simboli della comunità afroamericana venivano tolti di mezzo.

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Una scena di Strange Days

Pochi mesi dopo l'uscita di Strange Days, sarebbe stato ucciso Tupac Shakur, seguito a ruota dall'amico-rivale Notorius B.I.G., ma già mentre la Bigelow girava il film, si consumava la rappresaglia del potere bianco contro il gangsta-rap di quegli anni, voce di rabbia e protesta delle minorazne emarginate contro l'ordine costituito. Jeriko One (Glenn Plummer) con la sua morte simboleggiava proprio questo: l'America bianca e ipocrita che strangolava la voce del dissenso così come aveva cercato di fare con i N.W.A. di Dr Dre e Ice Cube. La sceneggiatura che James Cameron e Jay Cocks dettero alla talentosa regista, fu usata da quest'ultima proprio per togliere il velo di zuccherosa ipocrisia che avvolgeva la MtV generation, la dimensione spassosa e scanzonata che nascondeva una società selvaggia, ben rappresentata in quel futuro rabbioso e distopico, visto (e sentito soprattutto) attraverso gli occhi di Lenny Nero (Ralph Fiennes) e Mace Mason (Angela Bassett.

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La tecnologia ci renderà liberi?

Strange Days: Kathryn Bigelow sul set
Strange Days: Kathryn Bigelow sul set

Nel 1995, Bill Gates aveva presentato al mondo il suo Windows 95, capace di cambiare completamente il rapporto tra uomo e tecnologia. Negli anni Ottanta, nei primi anni Novanta, si parlava moltissimo però di "realtà virtuale", era vista come il futuro dell'informatica, della fruizione interattiva, la porta per un mondo parallelo in cui l'umanità dava sfogo a creatività e immaginazione. Da quel mito (poi declinatosi molto differentemente come sappiamo) Cameron creò lo SQUID, sorta di passe-partout attraverso il quale era possibile vivere le esperienze di ogni altra persona, andando ben oltre il consentito o il giusto spesso e volentieri. Guardando alla nostra epoca, a come ci cibiamo emotivamente degli status, video, esperienze (anche le più assurde e personali) di persone che non conosciamo nemmeno, del fascino morboso con il quale spiamo le vite degli altri, i loro segreti più intimi, non si può negare che Strange Days avesse predetto tutto. Max (Tom Sizemore), assassino psicotico, che usa lo SQUID per far vivere alle sue vittime le loro aggressioni dalla sua prospettiva, altro non è che la declinazione mostruosa dell'interattività emotiva dei nostri tempi. Revange porn, furto di dati, la rete che diventa regno del caos, un pozzo che sostituisce la vita vera, fisica, che la condiziona. Oggi ci si uccide per una frase sui social o per i pochi likes, il nostro piacere è dato dall'interattività emotiva che noi stessi creiamo ma che dipende dagli altri. E quegli altri ci possono distruggere in un amen. La tecnologia diventa anche memoria fisica incredibilmente più vivida di una semplice foto. Facebook ci ridà i ricordi, che sono status, video, emozioni. Non dobbiamo più rovistare negli scaffali, li abbiamo nelle stories su Instagram. Il passato diventa un miraggio di opportunità perse o da rimpiangere, condiziona il nostro futuro e diventa con la tecnologia, memoria comune, non più privato. E i ricordi, le esperienze, come in Strange Days anche nel nostro mondo del 2021 possono essere in fondo scambiati, diventano patrimonio di una società classista e xenofoba, un po' come la nostra, dove l'odio scorre in rete e da lì si riversa nella vita reale, dentro le istituzioni.

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Una scena di Strange Days

La dimensione erotica è persistente in Strange Days, parte di un iter narrativo in cui il concetto di identità (nella sua connotazione sociale e personale) viene approfondito, decostruito ed in cui la stessa immagine della donna, venne ampiamente rivoluzionata. Connettendosi al noir, il film ci mostra la donna come vittima della brutalità machista e prevaricatrice, ma anche femme fatale con la Faith di Juliette Lewis, sorta di omaggio al cinema che fu, messo in disparte dalla ben più forte, profonda ed emancipata Mace Mason della Bassett. Una donna nera, sensuale, indipendente, esperta lottatrice ed ancora di salvezza per il protagonista, prigioniero dei suoi ricordi, del suo passato, che rischia di distruggerlo.

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Una scena di Strange Days

Se oggi siamo abituati (più o meno) a vedere eroine afroamericane, per l'epoca fu una cosa rivoluzionaria, soprattutto perché mostrava un protagonista maschile immensamente più fragile di quanto il cinema ci avesse abituato fino ad allora. La regia della Bigelow, adrenalinica, isterica quasi, fu poi capace di donarci una soggettività assolutamente inedita (altro elemento che ha precorso la realtà dei nostri tempi), così come di farci perdere dentro quella collettività, quella città così simile a quella immaginata da Ridley Scott in Blade Runner. Cult poco apprezzato a suo tempo (fu un pesante fiasco al botteghino), Strange Days è stato qualcosa di più di un esercizio di stile, ha predetto il XXI secolo, la caduta di ogni certezza, l'umanità in preda ad istinti ferali antichi, alimentati con ritrovati tecnologici di ultima generazione. L'uomo non cambia mai, non attraverso le sue invenzioni. Cambia solo quando è capace di lasciar andare il passato con il suo carico di dolore e rimpianti, di abbracciare il futuro come Bigelow ci mostrò nel bellissimo e romantico finale.

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