Riunione di 'famiglia' per il cast di Salvatores

Il ricco cast al completo del nuovo film di Gabriele Salvatores, la commedia sofisticata e dai contorni surreali 'Happy Family', rivela durante la conferenza stampa l'affiatamento e l'atmosfera di familiarità nata sul set.

Spontanei, affiatati, allegri, quasi come una vera famiglia. Sono gli interpreti di Happy Family, ultimo lavoro di Gabriele Salvatores, con il quale in regista intraprende un'inedita virata verso la commedia sofisticata e surreale. Adattamento dell'opera teatrale omonima di Alessandro Genovesi, il film ripropone l'annosa questione pirandelliana del rapporto tra realtà e finzione narrativa (in qualche modo già affrontata in Nirvana), mettendo in scena il bizzarro rapporto tra un autore svogliato e in crisi creativa (interpretato da un ottimo Fabio De Luigi) e un gruppo di personaggi sfuggitigli di mano. Al centro della storia due "famiglie felici" (per modo di dire) milanesi, una più altolocata e l'altra più alla mano, che si conoscono per caso in seguito alla repentina decisione dei due rispettivi figli di sposarsi. Estremamente stilizzato dal punto di vista visivo (tanto da far pensare in certi momenti addirittura al cinema di Wes Anderson), intessuto da rimandi alla sua precedente filmografia, incorniciato in una Milano dal volto decisamente inedito, Happy Family rappresenta una scommessa vinta dal regista Salvatores, che regala l'ennesimo esercizio di stile inconsueto per il panorama cinematografico italiano.
Gran parte del merito nella riuscita del film è però da attribuire al ricco cast corale (oltre a De Luigi, Diego Abatantuono e Fabrizio Bentivoglio - di nuovo insieme in un film di Salvatores dopo Marrakech Express - e le presenze femminili Margherita Buy, Carla Signoris e Valeria Bilello) che ha saputo ben trasmettere l'atmosfera di familiarità e spontaneità che pervade i personaggi. Durante la conferenza stampa, tenutasi dopo un'applaudita proiezione per i giornalisti romani, il cast al completo racconta l'affiatamento nato attorno al set, con un istrionico Abatantuono a farla da padrone.

Mi ha affascinato l'utilizzo del bianco e nero nella sequenza riguardante la città di Milano. Mi è sembrato di vedere in quella scena anche una citazione della copertina di "Abbey Road" dei Beatles.

Gabriele Salvatores: La citazione da "Abbey Road" è casuale, ma ci sono alcune immagini che rimangono nella memoria di una generazione, tra cui vi è certamente quella della copertina dei Beatles. Il film è tutto giocato su dominanti di colore calcolate in maniera molto precisa per ogni sequenza, ed è stato compiuto un lavoro molto grosso da parte del cast tecnico per elaborare una messa in scena assolutamente antirealistica e surreale. Nella sequenza che riguarda l'esecuzione al piano di Caterina bisognava effettuare il montaggio sul Notturno di Chopin, che dura oltre quattro minuti. Così mi è venuto in mente che potevamo associare alla composizione le immagini di un'insolita Milano notturna. Ho voluto creare una risonanza tra il bianco e nero dei tasti del pianoforte e quello delle guglie del Duomo. Inoltre ho pensato che in questo modo si potesse dare un taglio diverso alla sequenza, che è l'unica in cui sono inquadrati persone e volti tratti dalla realtà.

Vorrei sapere se Ezio, lo sceneggiatore cinematografico interpretato da Fabio De Luigi è in realtà l'arter ego di Gabriele Salvatores, come accede con i protagonisti delle commedie di Woody Allen. Gabriele Salvatores: Sì, Fabio è assolutamente il mio alter-ego.
Fabio De Luigi : Essendo l'alter ego del regista, ormai non posso che essere d'accordo in tutto e per tutto con lui! In particolare, la scena a cui si accennava prima mi ha fatto un po' pensare ai Beatles che attraversano un quadro di De Chirico.

Le sequenze del film sono caratterizzate da diverse dominanti cromatiche ben precise: rosso, giallo, bianco, nero, eccetera. Esiste un legame specifico tra una sfumatura di colore e il significato di una scena? Gabriele Salvatores: Sì, come ho già detto, abbiamo cercato di realizzare un film che dal punto di vista estetico non avesse alcuna attinenza con la realtà, visto che i personaggi che si vedono in scena sono esclusivamente frutto dell'immaginazione dello scrittore Ezio. Proprio per questo motivo abbiamo inquadrato Milano sempre un po' dal basso, in modo da tagliare fuori la strada, che rappresenta in qualche modo il contatto con la realtà. L'apporto della fotografia di Italo Petriccione è stato fondamentale da questo punto di vista.

Italo Petriccione: Ho lavorato in sintonia con scenografi e costumisti per cercare in ogni sequenza di amalgamare i toni di colore, in modo da realizzare un'unica dominante cromatica. Siamo stati attenti a ogni più piccolo dettaglio della messa in scena (ad esempio nella scena della cena di Filippo con i genitori, dove il colore dominate è il rosso, sono state messe delle ciliegie sul tavolo). È stato un lavoro impegnativo ma gratificante, e aggiungo che il cinema italiano avrebbe bisogno di raffinare di più la resa visiva delle immagini, che ultimamente sembra appiattita su standard televisivi.

Gabriele, c'è qualche personaggio che le è sfuggito di mano, come accade al protagonista di Happy Family? Gabriele Salvatores: Direi che mi è successo quasi sempre con i personaggi interpretati da Diego Abatantuono, ma la cosa si è risolta a mio favore...

Il film affronta temi a lungo dibattuti da grandi autori della letteratura, come Pirandello, Shakespeare, Calderón de la Barca. Gabriele Salvatores: Su questo aspetto dovrebbe rispondere l'autore della commedia Alessandro Genovesi. Dal canto mio posso dire che un problema di molti registi, che mi rendo conto anch'io di vivere sempre di più, è l'incapacità di distinguere tra la vita vera e quella che metti in scena attraverso i film. Anzi Luc Besson mi ha confidato di voler smettere di dirigere proprio per questo motivo. Io cercherò d'ora in poi di essere più sperimentatore nelle mia vita personale che non al cinema.
Alessandro Genovesi: Il meccanismo principale di Happy Family è basato su tre livelli di finzione che si sovrappongono tra loro. La sfida era di rendere i personaggi il più possibile credibili, e per questo motivo sono costantemente assillati da problemi e da fobie tipici della nostra vita quotidiana. Per quanto riguarda il paragone con gli autori del passato, posso solo dire che viviamo in epoca in cui ormai tutto è stato già inventato. Non posso far altro che provare a rielaborare spunti altrui, magari nella speranza di inventare qualcosa di nuovo prima o poi.

Dati i chiari rimandi all'estetica di Wes Anderson contenuti in questo film, mi piacerebbe ribattezzare Happy Family come The Royal Salvatores. Mi chiedevo se anche lei, che ormai ha affrontato quasi tutti i generi, non volesse un giorno cimentarsi anche con il cinema d'animazione. Perché penso che questo film si adatterebbe decisamente a una trasposizione animata.
Gabriele Salvatores: Se la tecnologia fosse stata disponibile, mi sarebbe piaciuto realizzarlo in 3D, in modo da rendere ancora meglio lo sconfinamento dei personaggi da una realtà all'altra. L'animazione mi è sempre piaciuta, nell'ultima edizione degli Oscar ha vinto un film, Up, di straordinaria bellezza, in alcuni punti quasi bergmaniano. Ma reputo comunque gli attori sempre fondamentali nell'aspetto creativo. Gli interpreti sono secondo me co-autori del film a tutti gli effetti. Non avrei potuto concepire Happy Family senza questo eccezionale cast.

Come si sono accostati a questo progetto gli attori del film? Diego Abatantuono: con Salvatores si è instaurato un vecchio rapporto oramai, quasi come marito e moglie, solo che a noi va fortunatamente tutto bene. Pensate che sono stato io a convincere Gabriele a fare questo film, preferendolo addirittura a un altro soggetto in cui a recitare in scena ci sarei stato solo io. Ma l'idea di Happy Family è secondo me straordinaria e sono molto soddisfatto della mia opera di convincimento. Anche perché mi sembra che tutti gli attori siano stati bravissimi e Fabio in particolare ha fatto un gran lavoro. Inoltre, tornare a lavorare con Fabrizio è stato come incontrare un vecchio amico dopo tanto tempo. Effettivamente io sono invecchiato più di lui (prima o poi arriverà anche il suo momento comunque...), ma sembrava che non fosse trascorso neanche un giorno da Marrakech Express. Infine, su questo set ho avuto la fortuna di conoscere Carla Signoris e adesso posso dire che tra noi è nato qualcosa di più che un'amicizia (ride). Del resto lei ha un debole per quelli "opulenti" come me...

Carla Signoris: Dovete sapere che Abatantuono è l'unico attore al mondo assieme a De Niro disposto a ingrassare per interpretare un ruolo al cinema. A parte gli scherzi, ringrazio Salvatores di avermi offerto questa parte, perché è stata l'occasione per me di fare qualcosa di diverso dal solito. Il mio personaggio è una donna all'apparenza anticonformista, ma che in realtà nel profondo ragiona come una madre borghese che desidera un avvenire tradizionale per la figlia.
Valeria Bilello: Per quanto mi riguarda tutto è partito da Gabriele che mi ha detto che sarei stata una perfetta Caterina. Dopo aver fatto alcuni provini ho cercato di accostarmi al personaggio, cercando di sentirlo il più possibile mio. Per me si è trattato di una sfida impegnativa, perché al cinema sono ancora poco abituata. Ma, rispetto agli altri attori, avendo avuto un'esperienza televisiva, forse mi è venuto più naturale rivolgermi al pubblico guardando direttamente in macchina.
Fabio de Luigi: Avendo già recitato in Come Dio comanda, sapevo già che esperienza straordinaria è lavorare con Gabriele. Di solito sono molto titubante nell'accettare le parti, ma questa volta sono stato io a dirgli "non troverai nessuno più adatto di me per interpretare Ezio". La sfida è stata quella di far rientrare nei toni della commedia un personaggio che in apparenza ha poco di divertente: frustrato, solitario, perso in una vita immaginaria.
Fabrizio Bentivoglio: Gabriele mi ha chiamato una sera e mi ha detto "voglio mettere di nuovo insieme la banda" come nel film The Blues Brothers. Secondo Diego Abatantuono abbiamo impiegato troppo tempo per riunirci, tanto che lui aveva proposto di realizzare un "film postdatato", fingendo che fosse girato nel 2000. Io e Diego siamo come vecchi musicisti che quando si ritrovano dopo tanti anni non hanno bisogno di provare i pezzi, ma si mettono subito a suonare. Penso che il messaggio del film sia un incitamento a mischiarsi, a conoscere chi è diverso da te.
Corinna Agustoni: Credo che Gabriele, a differenza di molti registi, rivolga un'attenzione particolare nei confronti degli attori, e riesca sempre ad aiutarti per interpretare al meglio il tuo ruolo. Avendo già recitato la stessa parte nella commedia originale, nel mio caso il tentativo è stato quello di allontanarsi il più possibile dall'interpretazione teatrale per adattarlo al linguaggio del cinema. Ho dovuto interiorizzare il personaggio, lavorando di sottrazione.

Come mai il film è strutturato in tre parti? Gabriele Salvatores: Il film è diviso in tre capitoli, che ripercorrono in qualche modo le fasi della nostra vita. All'inizio, quando veniamo al mondo, siamo solo "Personaggi e interpreti", ma la nostra parte è ancora solo abbozzata. Se entriamo in contatto con altre persone scattano le "Confidenze", con le quali approfondiamo anche noi stessi. Le relazioni sono necessarie per poter poi creare una "Family". Ma questi tre aspetti corrispondono anche al processo creativo che porta alla nascita di una storia: i personaggi dapprima sono solo abbozzati, poi li fai reagire tra di loro e se sei fortunato possono uscirne fuori dei sentimenti autentici.

La frase pronunciata a un certo punto nel film, "La gente non si può prenderla in giro, se inizi a raccontare una storia devi anche portarla a termine" nasconde anche un riferimento alla politica? Gabriele Salvatores: La frase in questione era riferita piuttosto alla mia idea del cinema. Il cinema può raccontare di tutto, affrontare qualunque genere realistico o fantastico, ma non può mai raccontare bugie. Di riflesso, bisogna dire che purtroppo attualmente viviamo in un'epoca in cui si dicono troppe bugie. E il tema della virtualità, che mi interessa sin dai tempi di Nirvana, lo riscontriamo ormai anche nella nostra vita quotidiana. I telegiornali di oggi sono molto simili per certi versi a delle realtà virtuali.

Il film è stato presentato in anteprima assoluta negli Stati Uniti alla manifestazione "Los Angeles - Italia". Qual è stata l'accoglienza del pubblico americano?
Maurizio Totti: Il pubblico statunitense rideva esattamente per le stesse cose che hanno fatto ridere quello italiano. Il film è stato accolto con grande entusiasmo, tanto che si sono già fatti avanti alcuni buyer internazionali, e con molta probabilità il film sarà distribuito anche all'estero e gli americani acquisteranno perfino i diritti per un remake.