Recensione Fratelli d'Italia (2009)

Senza preoccuparsi di ammorbidire troppo la materia lavica che riprende in una scuola di Ostia, Claudio Giovannesi fotografa con sensibiltà gli immigrati di seconda generazione lasciando parlare le immagini come in un film-inchiesta di Rosi. Ne esce un ritratto preoccupante dell'Italia in cui il melting pot è ancora una chimera.

Ritratto di una nuova Italia

Fa il verso all'inno nazionale il film documentario del giovane e bravo regista romano Claudio Giovannesi (La casa sulle nuvole), ma è evidente che il suo non è un atto d'amore ruffiano al senso civico e patriottico della nostra nazione, piuttosto un richiamo preciso a una componente che ancora non riesce ad amalgamarsi con le altre, a un'integrazione difficile da una parte e dall'altra e spesso ambigua anche nella realizzazione. E rappresenta un invito alla riflessione sulla situazione attuale, auspicando che la grande platea, a cui si rivolge, sia "desta" nel rivalutarsi come identità collettiva in grado di accogliere, formare e orientare gli immigrati di seconda generazione.

Se l'opera cinematografica italiana continua, a torto, a strutturarsi come un contenitore di spunti per impegnati dibattiti sociologici da salotto, è il documentario che, come forma espressiva più attigua, riesce a imbarcarsi in missioni coraggiose riattivando l'attenzione pubblica su temi caldi come il crogiolo razziale, scrollandosi di dosso la patina di una retorica talvolta forzata o leziosa nel film di genere. Il realismo del cinema civile infatti abolisce quella barriera che il cinema contenutistico innalza tra se stesso e lo sguardo, la posizione metodologica che ne impedisce una fruizione totale. Rispecchia questi aspetti Fratelli d'Italia, un progetto che si configura come un riuscito esempio di film-inchiesta alla Rosi, un'opera dura e scevra del classico politicamente corretto che mette lo spettatore direttamente di fronte ai fatti, trasparenti e drammatici perché la macchina da presa li cattura mentre si posiziona nella ricerca della verità.

Per mostrarci il luogo privilegiato in cui l'etica delle nuove generazioni barcolla tremendamente Giovannesi ricorre alla dimensione delle scuole, come ne La classe - Entre les murs del francese Laurent Cantet e l'italiano Sotto il Celio azzurro di Edoardo Winspeare, senza preoccuparsi di ammorbidire troppo la materia lavica che sta per riprendere. Le immagini parlano da sole e rivelano quanto drammatica sia la realtà dei ragazzini che crescono a brand, turpiloqui e reality sfornati dalle televisioni generaliste: ne risulta un ritratto preoccupante, che non trova lo spazio delle eccezioni e in cui i colori delle etnie, anziché mescolarsi, si sedimentano in compartimenti stagni che non intraprendono mai la strada dell'incontro, del dialogo e della comprensione, ma si confrontano nel terreno dell'aggressività, del pregiudizio e dei luoghi comuni. In questo senso i borderline diventano i figli degli immigrati, come i protagonisti Alin Delbaci, Masha Carbonetti e Nader Sarhan, studenti minorenni dell'istituto tecnico commerciale "Paolo Toscanelli" di Ostia, che, sebbene siano nati e cresciuti in Italia, nella capitale, deputata a crocevia multietnico del nostro Paese, si sentono o sono trattati come "altri". La loro identità, nell'impatto più che nel contatto con gli italiani, non riesce a costruirsi come quella dei coetanei, pur condividendone vizi e vezzi: Alin si autoesclude dalla classe allontanandosi sul suo motorino ritoccato e senza assicurazione verso un mondo che non parla l'italiano e sembra condividere i soli, gretti, valori materiali a cui osanna l'house rumena, Masha è ossessionata dal pensiero del fratello, appena ritrovato, in Bielorussia e vorrebbe raggiungerlo mentre la famiglia adottiva e il fidanzato si preoccupano per lei, Nader si scontra ogni giorno coi genitori che non accettano la sua fidanzata romana e la sua cattiva condotta a scuola e tra le mura domestiche. I tre adolescenti non hanno spiragli e si aggrappano alla tenacia dell'età per non soccombere alla mancata integrazione con gli italiani, con gli altri stranieri, con la cultura dei genitori che gli è attaccata addosso come una seconda pelle: i confini di Paesi dai quali provengono le loro famiglie sono stati oltrepassati, ma la periferia, ombelico della regione laziale, non ha i mezzi per la loro crescita.

Autentico e favolistico insieme, Fratelli d'Italia è una testimonianza accurata e genuina, un'incursione in un mondo che, visto dall'interno, muove alla commozione rigettando prese di posizione sulla strafottenza adolescenziale, sulle discriminazioni facili, sulle derive linguistiche, sulle gabbie concettuali: Giovannesi non sale in cattedra, ma nei tre episodi selezionati fotografa, onesto, sensibile, rispettoso e amarognolo, un'Italia che vive in maniera negativa la propria mutazione etnica invece d'investire nella mutuazione culturale e antropologica che potrebbe derivarne.