Recensione Animals in Love (2007)

La voce fuori campo si limita a introdurre e a chiudere il documentario, lasciando così che siano le immagini a parlare e gli animali a raccontare sé stessi. Sullo schermo finiscono immortalati i rituali degli animali in tempo d'amore: i versi, i canti, i richiami, le danze quali strumenti di seduzione.

Richiami d'amore

La grande tradizione del documentario francese che esplora le meraviglie della fauna prosegue con Animals in Love, diretto da Laurent Charbonnier, al suo debutto dietro la macchina da presa per un prodotto destinato al circuito cinematografico, dopo essersi fatto le ossa come direttore della fotografia di pellicole come Il popolo migratore. 80 ore di materiale filmato, un anno e mezzo di riprese, 80 differenti specie finite nel montaggio finale: questi i numeri di un'opera che vuole descrivere l'amore nel mondo animale, non così distante, secondo l'autore, da quello degli esseri umani, della qual vita rappresenta il più grande motore. Animals in Love non intende quindi raccontare una storia, ma un sentimento, la cui analisi appare però abbastanza ingenua e in qualche modo ricattatoria nel presentare momenti isolati nei rituali animali che ben si sposano all'idea dell'amore di noi uomini.

La voce fuori campo si limita a introdurre e a chiudere il documentario, lasciando così che siano le immagini a parlare e gli animali a raccontare sé stessi. Sullo schermo finiscono immortalati i rituali degli animali in tempo d'amore: i versi, i canti, i richiami, le danze quali strumenti di seduzione che fungono da attrazione per il simile. Sono soprattutto gli uccelli ad animare Animals in Love, con le loro traiettorie a disegnare nell'aria il bisogno dell'altro, i canti che come quelli di sirene richiamano a sé chi stà loro intorno. E ancora fenicotteri, leoni, canguri, stambecchi e primati vengono filmati nella loro intimità, tra coccole e singolari incontri amorosi. Poco e discreto lo spazio concesso alla fase dell'accoppiamento che se fosse stata maggiormente sviluppata sarebbe almeno tornata utile ai genitori per illustrare ai propri figli come l'amore porti alla riproduzione della specie attraverso il naturale contatto fisico. Amore che poi si riversa sulla nuova vita, sui cuccioli dati alla luce nell'incanto del proprio habitat.

Il pregio maggiore del film è senza dubbio quello di risultare particolarmente divertente quando si lancia in lunghe carrellate di bizzarri animali e dei loro altrettanto strampalati atteggiamenti: gli uccellini che dondolano sui rami degli alberi, le giraffe che si prendono a testate i rispettivi fondoschiena, i cervi che fanno delle loro corna uno strumento fondamentale nelle lotte d'amore. Purtroppo però la tenerezza lascia ben presto posto alla noia, tanto che ad un certo punto anche gli animali protagonisti sullo schermo si addormentano. Limitandosi a una semplice sequela di attimi rubati all'universo animale, ne risente inevitabilmente l'interesse dello spettatore. Il regista tenta anche una toccata e fuga nelle profondità marine, che però è così breve da risultare stonata nell'economia del film e nel verde dei paesaggi che dominano la scena. La musica di Philip Glass serve solo a sottolineare il presunto romanticismo di certi momenti o ad accendere la partecipazione nei passaggi più movimentati, ma naturalmente il film è più convincente quando è la sola natura a parlare. Forse una sala cinematografica per uno spettacolo simile è esagerata, gli appassionati di natura e gli animalisti convinti potevano essere accontentati anche solo dal passaggio in tv.