Recensione Wolf Creek (2005)

Un horror che non fa mistero delle sue influenze, ma che è caratterizzato da una messa in scena di tutto rispetto e da un'efficace traduzione in immagini di un orrore tutto umano, e per questo tanto più disturbante.

Orrore nell'outback australiano

In un panorama horror sempre più anestetizzato e appiattito sulla moda dei remake, che coinvolgono tanto i classici degli anni '70 e '80 quanto le più recenti pellicole orientali, capita ogni tanto che qualche regista tiri fuori un prodotto valido, forte, di sostanza. Non necessariamente qualcosa di innovativo o particolarmente "personale" (ma sono poi questi i parametri secondo cui andrebbe giudicato un film appartenente al genere?), ma un'opera che comunque riesca a rielaborare le influenze che denuncia con onestà, non facendo mancare quell'immediatezza e quell'impatto grafico in grado di colpire allo stomaco e ai nervi dello spettatore. E' successo poche settimane fa con il folgorante The Descent - Discesa nelle tenebre, e succede di nuovo ora con questo Wolf Creek, che pur non raggiungendo i livelli di palpabile e insostenibile angoscia del film di Neil Marshall, si segnala comunque per un impatto visivo e un lavoro sulla tensione di tutto rispetto.

Non fa mistero delle sue influenze, questo esordio nel lungometraggio dell'australiano Greg McLean: lo spunto di partenza ricorda l'hooperiano Non aprite quella porta (particolarmente "saccheggiato" dall'horror degli ultimi anni, basti pensare al remake ufficiale, a La casa dei 1000 corpi, a Wrong Turn...), mentre l'ambientazione e il tono semidocumentaristico rimandano al più recente, e discusso, The Blair Witch Project. McLean, che per sua stessa ammissione ha girato il film pensando all'impatto visivo dei film del Dogma 95 di Lars Von Trier, ha usato una macchina da presa digitale, saturando la fotografia con tonalità livide anche nelle scene diurne e donando al film un look antinaturalistico che fa respirare angoscia fin dalle prime sequenze, appena sotto la patina da teen movie. Indugia sui misteriosi e selvaggi paesaggi dell'outback australiano, il regista, e fa montare la tensione lentamente, preparando lo spettatore all'esplosione di follia e violenza al centro del film: non si dubita mai che qualcosa di spaventoso stia per accadere, e McLean è bravo a giocare con i nervi dello spettatore rendendo l'attesa difficile da sostenere.

E' forse obiettabile, a livello di sceneggiatura, qualche passaggio che non brilla proprio per credibilità, e una certa convenzionalità nella presentazione dei caratteri (laddove, per citare ancora The Descent, in quest'ultimo la precisa caratterizzazione delle protagoniste ne aumentava notevolmente l'efficacia), ma a livello di messa in scena il regista sembra sapere il fatto suo, con un'idea dell'orrore (tutto umano, e per questo ancora più disturbante) molto precisa e ottimamente trasportata in immagini. Il film si regge anche su una buona colonna sonora (che contrappunta con i suoi toni cupi sia la maestosità degli esterni che la claustrofobia del "carcere" dei giovani protagonisti) e su buone prove attoriali, tra cui spicca quella di John Jarratt, che caratterizza il "mostro" con l'indispensabile dose di ironia, dovuta per il ruolo. E in quest'ottica si può perdonare al regista anche la didascalica e inutile (l'unica che in tutto il film può dirsi realmente tale) inquadratura finale.

Movieplayer.it

3.0/5